Esercito americano alla Reggia di Carditello, ricordano i graffiti con soubrette abbigliate alla moda del tempo

ROMA - Vincemmo la guerra con un tradimento. Benedetto fu. Iniziava con quel voltafaccia la caduta agli inferi del nazifascismo. Il sud fu libero prima. Gli Americani fecero della Reggia di Caserta il quartier generale delle Forze Armate in Italia. Quella che era stata la grande casa dei Borbone divenne il grande accampamento degli alleati, i nuovi.

In un’altra residenza borbonica, la Reggia di Carditello, trovarono sede gli uomini dell’esercito americano. In una delle torri esagonali ne sono testimonianza i graffiti ritraenti soubrette abbigliate alla moda del tempo. Dagli short ai lunghi mantelli, dovevano rispondere all’immaginario collettivo dei militari che vi risiedevano tra una spedizione militare ed un conflitto a fuoco. Erano gli anni del boogie-woogie, quello stile musicale blues per pianoforte, nato con lo scopo d’intrattenere la gente nei juke joints dei bar dove, alla sera, ci si divertiva e si ballava.

Questi locali si trovavano negli accampamenti dei lavoratori, ad esempio nei pressi dei cantieri delle linee ferroviarie. Doveva somigliare ad uno di questi luoghi il torrino esagonale di Carditello. Una sorta di bar dei nostri tempi. I soldati americani erano reduci da anni di proibizionismo quindi la possibilità di accedere più liberamente all’uso degli alcolici era per loro un’ottima occasione. Come accadeva a Napoli, anche nel Casertano i locali di intrattenimento erano molto frequentati e spesso si trattava di veri e propri lupanari. Nei loro confronti c’era molta tolleranza nonostante i soldati americani si dovessero sottoporre a frequenti controlli per scongiurare malattie veneree. Molto dure erano le pene a cui venivano sottoposti se scoperti infetti.

Le quattro donne raffigurate sulle pareti del torrino sono state realizzate con colori sgargianti. Su tutti dominano il blu e il rosso. Non sono immagini tipiche delle case di tolleranza, allora ancora purtroppo legali, ma piuttosto promesse di seduzioni, allegri inviti al desiderio e al piacere.

Altre tracce della presenza americana in quegli anni sono le scritte sulle colonne del tempietto dorico al centro dell’emiciclo dove nomi, date, conti della spesa raccontano di scene di vita quotidiana in un tempo di precarietà e speranze.

Dalla Reggia di Caserta, quartier generale delle Forze Armate in Italia, il generale inglese Brian Robertson, ammonì gli uomini degli eserciti alleati:

«[…] Le esigenze tattiche devono necessariamente incidere sull’occupazione di edifici storici durante il combattimento, ma un rigido controllo su queste occupazioni sarà esercitato dai comandanti subito dopo la cessazione del combattimento; […] Tutti gli edifici citati negli «elenchi dei monumenti sotto protezione» saranno considerati «edifici storici» e non saranno occupati quando sia possibile una sistemazione diversa o senza l’autorizzazione scritta del Comandante responsabile […] In passato edifici così occupati hanno sofferto gravissime perdite e danni non necessariamente attribuibili all’unità occupante […]». Il 17 febbraio 1944, il comandante supremo delle forze alleate del Mediterraneo, Harold Alexander, aveva impartito ai comandi di tutte le formazioni, questo ordine: «[…] Desidero che sia chiara a tutti gli ufficiali l’assoluta necessità che le truppe sotto il loro comando si comportino in maniera da salvaguardare il buon nome delle nostre armate e l’onore del loro popolo. Con l’avanzata verso nord entreremo in una parte del paese dove i tesori artistici e i monumenti sono più numerosi. Ordino perciò che ogni ufficiale porti continuamente a conoscenza dei suoi sottoposti le nostre responsabilità e l’obbligo di preservare e proteggere quegli oggetti, nella maggior misura consentita dalle esigenze delle operazioni».

In guerra sì, ma non con la storia, non con l’arte, non con la civiltà.

di Nadia Verdile

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