Amare il calcio significa sacrificarlo in questo momento, senza vaccino non si faccia un salto nel vuoto

ROMA - Il calcio ai tempi del Covid-19. A causa dell’emergenza sanitaria determinata dallo scoppio della pandemia da Coronavirus tutte le attività socio-economiche hanno subito un drastico blocco e, tra queste, anche le discipline agonistiche, subendo gravi danni economici. Com’è giusto che sia in momenti così delicati, si è data importanza massima alla Salute, posponendo l’Economia, anche se dopo più di due mesi di stop il ruggito economico, soprattutto nel calcio, torna a farsi sentire tra le visioni contrastanti di presidenti, allenatori, calciatori, staff tecnico e addetti ai lavori: se da un lato c’è chi mette la salute in primo piano, dall’altro c’è chi predilige l’aspetto economico.

Dall’inizio dello scoppio della pandemia c’è stato un blocco totale nel mondo del pallone (esclusi alcuni casi isolati riguardanti Paesi che hanno proseguito i propri campionati anche durante la pandemia come Nicaragua, Burundi, Bielorussia, Taipei, Turkmenistan e Tajikistan) dalle serie maggiori fino al calcio dilettantistico, che ha subito maggiori danni vista già la precarietà in cui si barcamenava.

Per quanto riguarda il calcio europeo la chiusura ha riguardato tutti i campionati e quindi anche l’interruzione dei maggiori tornei al mondo (Italia, Spagna, Inghilterra, Francia, Germania), e se qualche nazione come la Francia ha annunciato la sospensione definitiva della Ligue 1, assegnando il titolo di campione di Francia al PSG primo in classifica, gli altri campionati sono ancora congelati e, con la dovuta cautela, si sta pensando a un piano di ripresa come avviene in Germania che ieri ha annunciato che dal 15 maggio riprenderà la Bundesliga. Probabilmente, sulla stessa scia delle decisioni di Francia e Germania si aggiungeranno anche gli altri campionati al momento sospesi nelle altre nazioni, divisi tra chi riprenderà le attività con le dovute precauzioni tenendo conto della situazione contagi e dell’evoluzione del virus sul proprio territorio e chi metterà fine definitivamente alla stagione di calcio 2019/2020.

C’è da dire che sono stati proposti diversi provvedimenti e svariati protocolli sanitari da seguire per la ripresa del calcio in modo da fornire le massime garanzie possibili per tutelare la salute dei calciatori, degli arbitri e degli addetti ai lavori in caso di ripresa degli allenamenti e dell’attività agonistica, per ridurre al minimo il rischio di contagio, anche se in mancanza di vaccino il “rischio zero” non esiste.

Si è parlato di pulizia e sanificazione degli ambienti, dei centri sportivi, delle strutture alberghiere e dei locali, di personale sanitario addetto ai test Covid-19 per la valutazione preliminare e la sorveglianza clinica del gruppo, di visite mediche, rilievi della temperatura corporea, tamponi rapidi e indagini sierologiche a tutta la squadra, compresi staff e allenatore, prima della ripresa degli allenamenti e di ritiro permanente di squadra nel periodo del pre-campionato in modo da ricreare le condizioni del “gruppo chiuso”.

Addirittura si è parlato di allenamenti rispettando il distanziamento sociale dei due metri e di utilizzo della mascherina, provvedimenti incongruenti e assai improbabili in uno sport fisico e di contatto come il calcio.

Al momento la situazione è bloccata e non si conoscono i risvolti futuri ma l’ultima parola per l’autorizzazione alla ripresa dell’attività agonistica spetterà alle competenti autorità di Governo. Gli amanti del pallone fremono per rivedere il calcio e le partite ma si pensa innanzitutto alla salute, perché amare il calcio significa sacrificarlo in questo momento, perché al momento sembra impossibile riprendere per i motivi elencati in precedenza: il rischio zero non ci sarà, non esiste un vaccino e riprendere adesso significherebbe fare un salto nel vuoto prendendo rischi troppo alti. La ripartenza ci sarà ma non a breve termine. Chi ama il calcio capirà e saprà preservarlo.

di Francesco Maienza

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