Carmine Schiavone jr e Paola Starace, 4 mani oltre il pregiudizio

CASERTA - Un altro destino. Un titolo, una chiave di lettura, una ipotesi di visione. "Un altro destino" è l'ultimo libro di Paola Starace, autrice napoletana, che ha scritto, in collaborazione con Carmine Schiavone junior, una storia vera, forse scomoda, probabilmente necessaria. Sicuramente una storia umana. Un intricato viaggio nella storia dolorosa e complessa di un bambino conteso che porta un nome e un cognome ingombranti di cui ci si libera solo se si aderisce ad un programma di protezione, rinunciando - assieme ai dati anagrafici - ai sapori e ai colori della propria terra, ad una parte fondante della propria identità: quella degli affetti veri, quel microcosmo dei sentimenti che cura, protegge ripara dalle intemperie della vita.

L'autrice e il protagonista si sono incontrati a Mondragone, comune in provincia di Caserta, lei adottata dalla città, lui rientrato per scelta nella sua terra. Si sono riconosciuti in quello che Starace chiama «un incontro di anime tra chi reca il fardello di una sofferenza e chi a questo malessere decide di dare voce». "Un altro destino" non è un libro di inchiesta, ma lo scenario su cui si staglia la vicenda del piccolo Carmine resta inevitabilmente quello del clan dei Casalesi, quello di una Campania felix trasformata in Terra dei fuochi, quello delle responsabilità che – secondo Schiavone – sono ancora da attribuire a soggetti che operano nell'ombra, senza il cui beneplacito nessuno, neppure il suo temuto nonno, avrebbe potuto agire. Connivenze, concussioni e un bambino che fu, nel racconto e nella dolorosa memoria di questo giovane uomo, pedina di scambio su uno scacchiere chiamato giustizia, dove il bianco e il nero non sono così definiti. Sfumature pericolose, quando si tratta di coniugare il benessere di un bambino di quattro anni alla necessità di fare giustizia ma anche di fare carriera. Ne ho parlato con Starace, l'autrice.

Chi è Carmine Schiavone jr?

«Un giovane uomo del nostro tempo, dall'espressione un po' triste, costretto a crescere troppo in fretta. A momenti appare un ragazzino, in altri sembra già vecchio».

Cosa l'ha spinta a raccontare la sua storia?

«Quando l'ho conosciuto non sapevo chi fosse. Fu lui che, quando seppe che ero una scrittrice, mi raccontò di sé e della sua diffidenza verso scrittori e giornalisti che in passato avevano scritto di lui cose non vere o comunque scritte dal punto di vista di chi nutre un pregiudizio. Mi disse che gli sarebbe piaciuto raccontarla lui la sua storia, ma che non avrebbe saputo farlo. Io, che amo raccontare storie e adoro le sfide, non mi sono tirata indietro e mi sono offerta di diventare la sua "penna"».

Il suo è un libro a quattro mani. Cosa c'è di suo e cosa di Schiavone?

«Beh, più che a 4, è a 3 mani. C'è la storia che è reale e documentabile; ci sono i fatti, raccontati anche da suo zio quando Carmine, all'epoca delle vicende, non poteva capire o ricordare, ci sono i ricordi di Carmine, a volte espressi a voce, a volte scritti, ma sempre in maniera frammentata e con la proprietà di linguaggio di chi non è "abituato" a scrivere e poi, c'è la capacità mia di mettere insieme il tutto e trascriverlo, immedesimandomi il più possibile in Carmine e nel suo vissuto, cercando di fare emergere tutte le emozioni che Carmine tenta di nascondere».

Avere deciso di scrivere questo libro la fa sentire più coraggiosa o più disincantata?

«Né l'una, né l'altra, non occorre coraggio per raccontare la verità, occorre solo la capacità di liberarsi dal pregiudizio e di immedesimarsi nell'altro».

Cosa le è piaciuto di più della storia che ha narrato?

«Sicuramente l'aspetto umano».

Cosa l'ha messa più in difficoltà?

«Decisamente, la fatica più grande, è stata quella di "lasciare Paola Starace e il suo punto di vista", fuori da questa narrazione e diventare Carmine».

Perché ha deciso di pubblicare su piattaforme digitali?

«Ho avuto la fortuna di pubblicare il mio precedente romanzo con un editore "non a pagamento" ed è un'esperienza importante per una scrittrice esordiente, perché sapere che un editore ha scelto di pubblicare il tuo manoscritto, correndo qualche rischio, perché lo ritiene valido, ti dà una certa credibilità anche agli occhi di chi sceglie di leggerti. Ma gli editori, piccoli o grandi che siano, a meno che tu non sia una scrittrice già famosa o una vip, si limitano a pubblicarti e, anche se promettono di farlo, non ti supportano nella promozione del libro, non ti garantiscono partecipazioni a concorsi e fiere. Praticamente ti abbandonano. Perciò, avendo maturato una certa esperienza e avendo già un discreto pubblico di lettori che mi segue, pur avendo ricevuto alcune proposte da editori interessati alla pubblicazione del libro, ho "scelto", d'accordo con Carmine, di auto pubblicarlo».

di Nadia Verdile

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