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Stefania Romito |
CATANZARO - L'incontro con Pavese dietro le sbarre, tra emozioni profonde e la luce della Calabria. Ho vissuto molti momenti intensi nella mia vita, ma quello che ho sperimentato il 16 maggio 2025, all'interno della Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, resterà per sempre inciso nel mio cuore. È lì che ha preso ufficialmente il via il Progetto culturale-educativo “La cultura rende liberi”, da me ideato e curato, un percorso che mira a restituire dignità, ascolto e speranza attraverso la letteratura, in un luogo in cui il tempo sembra fermarsi, ma l’anima ha ancora il diritto di muoversi, di cercare, di rinascere. Ho scelto di iniziare questo viaggio con Cesare Pavese, un autore che da sempre abita le mie riflessioni più intime. La sua inquietudine, la sua solitudine così profondamente umana, la sua struggente tensione verso un senso che pare sempre sfuggire… Pavese non consola, ma accompagna. E ho visto, negli sguardi dei detenuti che ho incontrato, che le sue parole sono arrivate lì dove nemmeno la speranza osa sempre entrare.
Non c’erano più solo sbarre e mura, ma esistenze, storie
Ci siamo trovati a parlare di dolore, di riscatto, di memoria, ma soprattutto di quella possibilità concreta di cambiamento che può nascere dal confronto sincero con la letteratura. Mentre condividevo con loro brani di Il mestiere di vivere o di La luna e i falò, percepivo le emozioni affiorare, crude, vere, a volte quasi urlate nel silenzio. Le parole diventavano ponti. Non c’erano più solo sbarre e mura, ma esistenze, storie, e il desiderio struggente di essere visti come persone, non solo come colpe. Quel giorno, fuori dal carcere, la Calabria si mostrava in tutta la sua struggente bellezza. Le colline bagnate da una pioggia primaverile, l’odore del mare che arrivava lontano, come un messaggio sottile di libertà. Una terra antica e generosa, la terra di Calabria, che amo profondamente, con la sua anima aspra e accogliente, capace di raccontare anch’essa, in silenzio, storie di ferite e rinascite. Il Progetto si articola in tre aree: le interviste, i laboratori di scrittura creativa, e gli incontri letterari.
Dare una possibilità concreta di riscatto, perché la cultura rende liberi
Ma non sono solo “attività”. Sono occasioni per ascoltare e farsi ascoltare. “Voci dal carcere” “Parole liberate” e “Libri oltre le sbarre”, il cuore letterario del progetto, che nasce proprio da questa prima esperienza con Pavese. Una finestra spalancata sul senso più profondo dell’essere umani. Portare la cultura in carcere è un atto d’amore e di coraggio. Significa mettere al centro la persona, prima del reato. E soprattutto, significa dare una possibilità concreta di riscatto, perché, come credo fermamente, la cultura rende liberi. Desidero ringraziare profondamente la direttrice della Casa Circondariale “Ugo Caridi”, la dottoressa Patrizia Delfino, per aver creduto nella forza di questo progetto. Grazie a lei, a tutti gli operatori e ai detenuti che hanno accolto con emozione e partecipazione questo percorso. Torno a casa con un senso di pienezza e gratitudine. Lo sguardo dei detenuti che mi hanno detto “grazie” vale più di mille riconoscimenti. Questo è solo l’inizio. Ma è un inizio che ha già lasciato un segno. E continueremo, insieme, a percorrere questa strada. Perché dove c’è parola, c’è possibilità. Dove c’è ascolto, c’è rinascita. Dove c’è cultura… c’è libertà.
di Stefania Romito
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