Allegoria del protetto del cardinale Francesco Maria Del Monte, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Vista da Pia Di Marco
ROMA - (Roma, estate 1598, Camerino della distilleria del cardinal Francesco Maria Del Monte. L’ambiente è piccolo, alle pareti si notano nicchie che contengono fornelli, mortai, statere; sul soffitto si apre, in ardito scorcio, un’Allegoria dipinta dal protetto del Cardinale, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Plutone, il dio degli Inferi, armato di bidente, affiancato dal cane Cerbero che agita nervosamente le tre teste, si volge verso Nettuno, il dio del mare, il quale, a sua volta, con una mano esibisce il tridente e con l’altra afferra un mostro marino, una sorta di cavallo acquatico in procinto di balzare verso l’alto. Più su, oltre le teste degli dei, si accampa un disco dalla luminosità irregolare: è il globo celeste (si distinguono la ruota zodiacale e il sole congiunto alla luna) con al centro la terra, secondo la visione tolemaica.
Al di sopra del firmamento, Giove, a cavallo dell’aquila, sfiora il segno dei Pesci sulla ruota zodiacale, ove si distinguono anche le costellazioni dell’Ariete, del Toro e dei Gemelli.
Entrano il cardinal Francesco Maria Del Monte, il padrone di casa, e un altro prelato, piuttosto anziano, visibilmente affaticato, eppure estremamente vigile e attento, quasi in ascolto di qualcuno o di qualcosa. Del Monte con la consueta eleganza, il volto disteso, lo sguardo assorto, compiace il suo ospite con amabile cortesia, spiegando l’uso degli strumenti di distilleria. Finché gli occhi vivacissimi del vecchio non vengono attirati dalla luce straordinaria del globo dipinto sul soffitto, e dalla nudità degli dei pagani).
- Dunque, è questa l’Allegoria di cui parla tutta Roma.
- Sì, Padre. E’ questa.
- Voi, gran signori, principi della Chiesa ancora imbevuti di paganesimo. E chi è il maestro di tanto ardimento? Ah, sì, aspettate, lo so, Merisi… da Caravaggio. Si dice che abbia dipinto questi nudi a sua immagine e somiglianza, fin nelle pudenda. Gran prospettiva. Si dice anche che l’abbia fatto per vanità, per dimostrare la sua arte. Un tipo ombroso, impulsivo, così sembra. Vi fidate a tenerlo in casa vostra?
- Vostra Paternità, Caravaggio è un vero artista. E come tutti i veri artisti, patisce il proprio genio. Ma non vi fermate alle apparenze, vi prego, permettetemi di spiegare…
- Che cosa mi volete spiegare, Del Monte? Come ottenere qui dentro la pietra filosofale sotto gli auspici degli dei pagani?
- Ascoltate, Padre, anzi, guardate: qui è la sapienza antica che parla, qui è la materia che si decanta. Plutone, dio delle viscere terrestri, rappresenta la materia al nero, la materia caotica, indistinta: notate, vi prego, il bidente, simbolo di un’ambivalenza incompiuta, giacché, come sapete, solo quando la materia arriva a distinguersi nelle sue tre parti costitutive, sale, zolfo, mercurio, solo allora acquista ordine ed è pronta per la trasmutazione. Vedete il cane Cerbero accovacciato ai piedi del padrone? Le sue tre teste latranti simboleggiano questo primo ordine raggiunto. Dal caos all’articolazione dei suoi tre agenti sostanziali: e non è che la prima fase.
- La prima fase?
- Osservate con quanta abilità il maestro Merisi ha creato la figura di Plutone in torsione, come presa da un movimento interno, rivolta a Nettuno: la figura di mezzo, col tridente. Sale, zolfo, mercurio, distinti fra loro, sono pronti per essere raffinati: da solidi diventano liquidi. Immaginate la terra: e l’uva che ne è il prodotto, e poi figuratevi il succo che fermenta per diventare vino fragrante. Così vi è più chiaro? Ah, ma io pretendo di insegnare a voi l’alchimia. Voi ben la conoscete.
- Del Monte, io conosco quel che alla Chiesa conviene e quel che l’offende… o insidia. Proseguite.
- Nettuno stringe il tridente e… vedete? Ritorna il tema delle tre parti costitutive della materia, che “fermentando” passano allo stato liquido. Osservate ancora: il dio del mare stringe un mostro acquatico, lo stesso che uccise Laoomedone, mitico re di Troia, e che fu martirizzato da Eracle…
- Martirizzato?
- Intendo, Vostra Paternità, il martirio della materia secondo il linguaggio dei sapienti, il martirio dell’uva pestata nel tino. Anche il grano subisce il martirio, la macina è il suo patibolo. Come potrebbe, altrimenti, diventare pane?
- Mio caro Del Monte, voi credete ancora di vivere nella Roma medicea di ottant’anni fa. Oggi stesso potrei farvi portare nelle segrete di Castel Sant’Angelo.
- Mio buon Padre, voi questo non lo farete. Perché sapete bene che cosa intendo. La scienza m’affascina, l’antica sapienza è il mio abito mentale, ma scienza e sapienza mi conducono alla carità e alle virtù cristiane secondo i dettami di Santa Romana Chiesa. Del resto, anche il buon Federico Borromeo condivide con me questa passione. E lui è un uomo santo. No?
- Ah, sì, lui è un uomo santo. Benché io diffidi di tutti coloro che mettono troppo ardore e troppo cervello nel servire la Chiesa e nel farsi caritatevoli. E’ una questione di confini. E il fuoco non ha confini.
- … osservate, osservate: il mostro che Nettuno stringe e governa s’impenna verso l’alto, in direzione di Giove e della sua aquila: la materia dallo stato liquido sta passando allo stato gassoso, la più nobile e rarefatta delle aggregazioni di sale, zolfo e mercurio. Vedete come nel processo vi siano costanti allusioni al numero tre: le tre teste di Cerbero, il tridente, la postura del padre degli dei con le gambe e un solo braccio in evidenza. La triplice sostanza non cambia, che sia solida, liquida o gassosa. Ma sapete che cosa accade quando è gassosa?
- Ditemelo, vi prego.
- … che libera il mercurio.
- E con ciò?
- Non prendetevi gioco di me, Padre, voi non ignorate la natura del mercurio alchemico, i sapienti lo consideravano “figura di Cristo”, poiché ad esso, più che agli altri due componenti, si deve il processo di decantazione, ovvero di redenzione della materia in puro spirito.
- Voi mi provocate, Francesco. Sono venuto qui, stanco dei miei anni, ma non pago di scovare eretici anche fra voi cardinali. Anzi, soprattutto fra voi. Il pesce imputridisce dalla testa, come si dice.
- “Il travaglio della materia porta alla virtù, che io vedo raffinata a guisa di purissimo oro”: questo scrivevo a Federico Borromeo, non molto tempo fa. La nostra idea è l’alchimia interiore.
- E tutti questi alambicchi? “Alchimia interiore”?
- Studio medicamenti chimici, Padre. Questo non m’impedisce di intendere il mio lavoro, in ogni sua diversificazione o applicazione, come ricerca della perfezione morale. Ho commissionato l’Allegoria al mio pittore per tenere bene a mente il mio fine ogni volta che, pregando, volgo il viso verso l’alto. Questo piccolo luogo, per me, del resto, è il luogo del raccoglimento, delle orazioni.
- Ah, no, Del Monte. Voi credete che nella mia ruvidezza, ma diciamolo pure, nella mia rozzezza d’inquisitore, non conosca tali astruserie. Voi, che pure mi lisciate il pelo dandomi del competente, voi, piuttosto, vi fate beffe di me. Avete la presunzione che un frate qualsiasi non possa sapere i vostri aristocratici ermetismi. So bene, invece, che ogni alchimista usa ritirarsi in un piccolo oratorio per recitare la sua empia preghiera in attesa che la materia decanti, che il mercurio si volatilizzi, che gli opposti copulino e diano luogo alla pietra filosofale. Pagani arroganti. E poi, si capisce, vi vantate di mescolavi al popolo, ai miseri, in gran pompa, così che quelli, con le loro sozzure e orribili vite, vi facciano rilucere di più. L’oro, la pietra filosofale siete voi, in mezzo alla merda.
- Non ho mai avuto l’ardire di sottovalutarvi. Vi so accorto e sommamente intelligente. Ho desiderato questo incontro ed ero ansioso di mostrarvi cose che sento profondamente, come un cammino interiore. Il che non esclude, vi ripeto, che io abbia passioni scientifiche. Né che rinunci alla mia educazione e al mio stile. Non cambierei il mondo se mi degradassi, se tra i miseri apparissi peggiore di loro. Non li aiuterei.
- Che cosa significa quel globo luminoso tra le vostre divinità pagane? E’ un sole immobile? Badate, Del Monte, a quel che dovete dirmi. E ricordate che non sono qui per la vostra cortesia.
- Mi volete accusare di eliocentrismo? Eppure, al centro del globo luminoso è la terra: ma guardate, dunque: non vedete la fascia dei segni zodiacali? Non vedete la luminosità irregolare dell’universo ove sole e luna si congiungono? Vostra Paternità, sapete bene di che cosa sto parlando, prima vi è sfuggita l’ermetica definizione di copula alchemica. Solo il mercurio, la materia purificata, può favorire la mistica unione dei due astri, l’unione degli opposti da cui fiammeggia la luce, la luce pura, quella descritta nella Genesi, e che, secondo sant’Agostino, è il Bene. Dalla nera, indistinta materia, dal Male, alla luce ineffabile: non è meraviglioso? Ma vedete, dunque, che le costellazioni dei Pesci, dell’Ariete, del Toro, dei Gemelli ben visibili, indicano il periodo primaverile adatto a iniziare l’Opera? Vostra Paternità, immaginate il genio malinconico, prigioniero di se stesso, che travaglia finché la sua creatività non si libera, non si espande imprimendo al duro sasso la propria forma: e questo è ancora niente. Pensate al travaglio dell’anima prigioniera del Male, del buio, del peccato, che faticosamente si eleva per raggiungere il Bene. “Gli uomini prigionieri nelle tenebre sono il volgo ignaro; l’uomo libero, privo di catene, alla luce solare, quello è il filosofo”. E’ una frase di Pico della Mirandola.
- Del Monte, voi siete un uomo colto, raffinato. Ma stavolta sono io a farvi notare che la vostra cultura è presunzione. Voi gareggiate con il Dio della Genesi, e con voi, gli artisti che pagate. Perfino nella Curia, perfino alcuni pontefici hanno nutrito e appoggiato gli imitatori del Creatore: ma erano altri tempi. Oggi, pensarla così, non sarebbe possibile. Non sarebbe lecito. L’uomo non può mettersi sullo stesso piano di Dio: averlo permesso, per decenni, aver lasciato che serpeggiasse questa ebbrezza nel chiuso degli studioli, nelle botteghe, ha provocato la rottura del limite, il caos, la ribellione.
- La Riforma? Alludete alla Riforma luterana? Agli eretici?
- Alludo alla ribellione, per cui i piedi hanno preteso di comandare alla testa. A questa audacia competitiva dell’individualismo noi ora opponiamo e imponiamo la massificazione nel peccato. L’umanità è una massa dannata, livellata nella vergogna di se stessa. Genio, sapienza, aristocrazia del sangue o della cultura non servono, perché solo il timor di Dio, l’umiltà, la mediazione della Chiesa possono guidare alla salvezza.
(Del Monte sospira di fronte alla durezza dell’inquisitore. In quel mentre, Caravaggio entra nel Camerino: lo sguardo cupo, l’espressione inquieta, resa quasi selvatica dalla vista dell’inquisitore. Abbozza un inchino e sta per ritirarsi).
- Michelangelo, venite… Vostra Paternità, ecco Merisi da Caravaggio, senza dubbio il più talentuoso artista che abbiamo di questi tempi a Roma.
(Caravaggio si fa avanti, sempre più scuro in volto, s’inginocchia, bacia la mano che l’inquisitore gli offre)
- Ah, davvero molto somigliante! Vi ho conosciuto prima di conoscervi: siete voi Plutone e Nettuno che ci sovrastano, non è così? La materia nei suoi stati più vili, che aspira a redimersi. Mi dicono che frequentate i bassifondi, che vi mescolate alla plebaglia, che dipingete prostitute e altra miserabile umanità, che in questo brodo vi mantenete, vi confondete…
(Caravaggio non risponde, punta lo sguardo interrogativo su Del Monte, che, infine, indovinando l’estremo impaccio dell’artista, lo congeda).
- Ecco uno, caro Del Monte, che forse ha compreso senza comprendere. Avete tentato di ammaestrarlo, gli avete imposto i vostri gusti aristocratici per ottenere l’ “Allegoria”. Ma non è dei vostri. Ritiro l’insinuazione.
- Che intendete, Padre?
- Che quello ama la prigionia delle tenebre e il volgo ignaro. E un giorno o l’altro, si farà macinare come il grano. O pestare come l’uva, scegliete voi la metafora alchemica che più vi piace. Andiamo, se permettete. Si è fatto tardi e sono molto stanco.
di Pia Di Marco
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