Canto risorgimentale dei briganti e canti della Repubblica di Salò hanno la medesima funzione?

ROMA - L'antropologia non è ideologia ma conoscenza. Dai Canti del brigantaggio ai Canti di Salò. Antropologia come antropos. Tra civiltà e popoli. Tra il canto popolare e i racconti dei vincitori e dei vinti. Anche negli studi di Pitré si avverte questa lezione. I canti popolari della Resistenza e del Risorgimento sono parte integrante di un bene demoetnoantropologico. Pongono in essere un modello di cultura popolare che rispecchia la storia all’interno di un vissuto, di una temperie e di un contesto. Sono parte integrante della storia dei “vincitori” andando a costituire un patrimonio di ciò che la storia e la cultura hanno rappresentato a partire dal 1860 fino al periodo del post-fascismo (1945).

I canti risorgimentali, beni etnoantropologici appartenenti alla cultura popolare, possiedono una caratteristica che varia in una articolazione ben definita da territorio a territorio e da regione a regione. I canti del brigantaggio, quelli borbonici e del Regno di Napoli rientrano nella misura del “canto popolare demo-etnoantropologico”, sebbene storicamente ci troviamo all’interno di una visione in cui il tempo viene vissuto come tempo di una memoria passata che riascoltiamo attraverso le attestazioni di parole e musicalità.

Come andrebbero o vengono  classificati i canti della Repubblica Sociale di Salò? Oppure non andrebbero proprio classificati per mero esercizio ideologico? Ritengo che i canti della Repubblica Sociale di Salò siano parte integrante di un patrimonio culturale di una Nazione.

«La storia non conosce parentesi», affermava lo storico Renzo De Felice. La storia non può avere parentesi se si vuole comprendere fino in fondo l’identità di una Nazione, parimenti è necessario cercare di studiare, in modo attento, i canti del prefascismo e del Fascismo al di là delle ideologie. Molti canti del Fascismo, come “Giovinezza” e così via, sono propriamente prefascisti. Il linguaggio stesso creato da D’Annunzio è un linguaggio prenazionalista.

Non si può sostenere la tesi di un D’Annunzio Fascista e riparlare del più grande scrittore del Novecento uno scrittore da Indice. L’intera opera di D’Annunzio nasce prima del Fascismo. Come si può additare a D’Annunzio l’essere Fascista? Si potrebbe addirittura capovolgere il discorso: che il Fascismo recupera il linguaggio dannunziano. Davanti a questa riflessione ci metto un bel punto interrogativo. I vari concetti espressi da D’Annunzio nelle sue canzoni, o nei motti, sono parte integrante di un patrimonio nazionale perché D’Annunzio resta il punto di riferimento cruciale nel passaggio epocale, non tra due forme ideologiche, bensì tra due epoche.

Ecco perché è necessario approfondire questo aspetto, del resto la canzone “Bella ciao” non nasce certo con la lotta partigiana, ma è pregressa, recuperata  nell’ambito di un preciso momento storico. Desidero ragionare in termini prettamente culturali e antropologici. Percorrendo un discorso etnoliguistico ci si rende conto come le ideologie abbiano poco a che vedere con l’invenzione di un canto popolare. É l’ideologia ad impossessarsi del canto popolare, è questo il dato di fondo.

Il brigantaggio non diventa ideologia in sé attraverso il canto dei briganti, attraverso la canzone di Ninco Nanco. È la conseguenza di un processo e di un percorso interattivo al cospetto di queste visioni. Dobbiamo avere la capacità e l’intelligenza di proteggere questo patrimonio. Salvaguardare il patrimonio identitario della “canzone popolare” significa smarcare le forme politiche di vinti e vincitori, creando così  un unicum con le distinzioni di una cultura prettamente popolare che appartiene a tutti.

I canti popolari, entrando nella storia, esercitano una funzione di conoscenza e, allo stesso tempo, psicologica ed esistenziale. L’antropologia ha matrici nella storia. Attraverso la capacità di comprendere la funzione che i popoli hanno avuto abbiamo la possibilità di lasciare un segno tangibile alle nuove generazioni, che dovranno confrontarsi con questo percorso, non soltanto sul piano antropologico, ma anche sul piano culturale tout court, in senso generale, e storico.

Il canto risorgimentale, quello dei briganti, della Resistenza, quello prefascista che diviene poi icona del Fascismo e i canti della Repubblica di Salò che vengono recuperati dal prefascismo hanno la medesima funzione? Ritengo di sì sul piano antropologico. Credo sia necessario dare una funzione prioritaria a queste chiavi di lettura. Un simile discorso può essere applicato alle lettere dal carcere, sia da una parte che dall’altra, aventi funzioni  caratterizzanti di un tempo e di una storia.

Per il loro carattere di testimonianza vanno inserite all’interno di un contesto prettamente culturale, di analisi e interpretazione antropologica. L’antropologia non deve avere ideologia né appartenenze, bensì contenuti che si recuperano mediante questa visione di identità all’interno della tradizione. La forma d’identità nazionale è fatta di queste componenti che sono storiche e che appartengono a un vissuto di popoli, di uomini e di appartenenze. La centralità delle antropologie sta nella conoscenze dei popoli.

di Pierfranco Bruni

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