Nicla Vassallo: Carlo Bernardini uomo dalle "prepotenti” convinzioni di valori e ruoli della democrazia

ROMA - Conoscevo Carlo Bernardini di fama e da tempo. Quando ho frequentato il liceo scientifico a Imperia, ho amato due materie: la fisica e la filosofia. In seguito, nel decidere quale indirizzo prendere, ho optato per la filosofia. Si badi bene, per un particolare tipo di filosofia, ovvero per l’epistemologia (dal greco ἐπιστήμη, epistème e λόγος, logos), dunque per la teoria della conoscenza e per la filosofia della scienza, ove mai mi sarei concessa di affrontare di far filosofia di una specifica scienza (per esempio, filosofia della fisica, filosofia della medicina, filosofia della psicologia), dato che ritengo, al fine di filosofeggiare su una specifica scienza, occorrano almeno due lauree: una in filosofia e l’altra nella scienza prescelta, il che, ahimè, si rintraccia raramente nel nostro paese, ove molti filosofi, armati di soli studi prettamente filosofici, si lanciano, oltretutto convinti, nello scrivere di e insegnare una qualche filosofia di una scienza specifica.

Tengo a chiarire che, dopo essermi specializzata a Londra, la mia è una filosofia analitica, ovvero, in poche e semplici parole, una filosofia in cui occorre argomentare bene, una filosofia ragionata. Probabilmente è il confidare entrambi nel ragionamento che, per qualche strano caso, ha fatto sì che le nostre vite, quella di Carlo e la mia, si intrecciassero un giorno.

Torniamo al Carlo Bernardini che non conoscevo di persona. Per anni lo ho seguito con curiosità e meraviglia. Nel mio seguirlo in tal modo, ne ho ricavato qualche idea, o forse meglio qualche supposizione: fisico orgoglioso di essere tale, eppure legato alla modestia. Studiava le leggi di natura, in particolare le leggi fisiche, indipendentemente dall’esistenza umana, pur ben sapendo che alcuni/e epistemogi/che negavano e negano l’esistenza di queste leggi. Perché seguivo Bernardini, e non altri fisici, neppure il celebre Stephen Hawking? Anche, ma non solo, perché Stephen Hawking, insieme ad altri suoi colleghi, aveva dichiarato che la filosofia oggi non serve più, perché la fisica l’ha sostituita. Bernardini non la pensava così. Per inciso, quella di Stephen Hawking e altri, non costituiva una novità: è stato il filo conduttore di molta epistemologia quineana, e il fatto che Hawking & Co non lo sapessero, altro non attestava che con la filosofia non si erano mai misurati.

Seguivo Bernardini, perché avevo appreso, convinzione con lui condivisa, della sua missione comune, ormai ineludibile in campo scientifico, ma pure della sua particolare interpretazione di codesta missione, rivolta al bene comune e al benessere di tutti gli esseri umani, in cui la scienza e in particolare la fisica, dovevano giocare un ruolo determinante, per porsi al servizio del progresso della civiltà. Non per nulla, Bernardini si è oltretutto assunto un solido impegno politico.

L’obbiettivo che si poneva da fisico e da essere umano consisteva in quello dell’ “approssimarsi a”, senza mai peraltro attestarsi approssimativo, un “approssimarsi a”, condiviso da parecchi epistemologi, da lui però interpretato con originalità: “l’approssimarsi a” concedeva possibilità al progresso scientifico, nonché, al progresso della società della conoscenza (oggi come oggi purtroppo ridotta spesso alla società dell’ignoranza, specie politica, e il Carlo, che poi ho avuto la fortuna di conoscere, ne era indignato) e della comunicazione intersoggettiva, nonché relazionale, su un piano esteso. Del Carlo, che non ancora conoscevo personalmente, sapevo che era un ottimo fisico, teorico e sperimentale, un fisico che aveva contribuito all’ideazione e alla realizzazione, tra l’altro, dell’Anello di Accumulazione. Il Carlo, che conosciuto di persona, mi parlava di questo Anello con orgoglio, qualche commozione e con illimitata moderazione, seppure entrambi sapessimo bene, che fosse il primo acceleratore di particelle e antiparticelle, un anello ove elettroni e positroni circolavano in direzioni opposte con eguale velocità, annichilandosi e trasformando tutta l’energia iniziale in nuove particelle. Quell’Anello rimane una pietra miliare del progresso scientifico.

Ricordo che Carlo ne parlava quale di una vera e propria piccola conoscenza applicata e del gruppo che l’aveva conseguita, di cui lui stesso faceva parte, elencando tutti i nomi dei suoi colleghi. Solo animato dall’intento di accrescere la mia conoscenza scientifica, che consideravo e considero dilettantesca, mi diceva sottovoce che il minuscolo Anello di Accumulazione costituiva il piccolo bisnonno di altri e ben più grandi, giganteschi acceleratori, quale quello costruito al CERN di Ginevra. Non mi ha mai parlato della sua docenza da professore, mentre sapevo, a causa di miei colleghi e amici della Sapienza, della straordinaria considerazione del suo nome, della bellezza e delle difficoltà del far fisica, che riusciva a inculcare in ogni studente e studentessa, mentre del suo essere uno storico della fisica, nulla ne sapevo e ancor oggi rimango all’oscuro di tale suo aspetto. Invece, ho scoperto, nel nostro incontrarci di persona le sue qualità di epistemologo, dal libero pensiero, e in lui ho colto l’amore per un conoscere senza fine, da razionalista e illuminista, così come la sua battaglia per la pace, contro il disarmo nucleare.

Come riassumere la figura di Carlo? Se me lo chiedessero, risponderei che giudico impossibile un tale riassunto. Se insistessero, risponderei “un intellettuale a tutto campo”, pur consapevole che Carlo fosse e rimane ben altro. Carlo? Un uomo complessissimo: scienziato, intellettuale a tutto campo, ma anche intellettuale militante, dalle “prepotenti” convinzioni dei valori e dei ruoli della democrazia, severo e al contempo dotato di una sconfinata umanità, nonché di una straordinaria cultura. Carlo mi ha mai intimorito? Forse no, per il felice fatto che la nostra conoscenza personale non è potuta, per palesi ragioni anagrafiche, svilupparsi come entrambi avremmo desiderato. Gli debbo senz’altro lo sprono a crescere sempre, a non cessare mai di sviluppare il mio amore per la conoscenza, nonché i suoi valori, a non consentirmi di pubblicare volumi divulgativi, se non quando si è raggiunto l’apice della propria professione conoscitiva (lui si è comportato così e io mi sono attenuta ai suoi consigli), a mostrare riconoscenza alla propria famiglia (famiglia che purtroppo non ho avuto), mentre lui non ha mai esitato a sostenere che senza sua moglie, Silvia, fisico pure lei, Silvia con cui sì è sposato da giovane, per amarla fino alla morte di Carlo stesso, non sarebbe mai diventato “Carlo Bernardini”: durante le nostre cene genovesi, me lo ha ripetuto spesso, sia in presenza, sia in assenza della splendida moglie. Se la mia memoria mi soccorre, mi pare che non rilasciasse molte interviste.

Desidero menzionarne una in particolare, ovvero quella in cui Antonio Gnoli gli dedica in uno degli Straparlando, doppia pagina che esce ogni domenica su la Repubblica, in cui alle domande sintetiche e acute di Antonio, Carlo replica in modo altrettanto sintetico e acuto, per esempio definendo l’incontro con Enrico Persico “una botta di fortuna. Avevamo una passione per i gatti. Credo che abbia aiutato”, o sostenendo come se fosse un nonnulla “Ci occupavamo di problemi su cui in Italia nessuno si era cimentato. Per studiare gli acceleratori fummo dapprima spediti in giro per il mondo”, o affermando, rispetto alle loro grandi scoperte scientifiche di un Italia non più esistente, ora come ora, “C’erano gli uomini giusti ai posti di responsabilità. Serviva una grande fantasia creativa e avevamo anche quella”, o, alla domanda “Ma lei come si è appassionato di fisica?” replica “Leggendo all’età di dieci o undici anni un libro che mi coinvolse. Si intitolava La fisica di Carlson, bellissimo testo. Mi fece amare una materia che a scuola, di solito, ti fanno odiare. Il libro mi fu incautamente regalato da mio padre”, e ricordando a proposito di suo padre, un notaio, “Amavo tantissimo la musica e un giorno gli dissi: voglio imparare uno strumento, vorrei suonare l’arpa. Mi guardò con una smorfia. Ti rendi conto? Che diranno in giro? Il figlio del notaio Bernardini suona l’arpa. Sai le risate alle nostre spalle…Mi rassegnai. Che cosa dovevo fare? Del resto avevo la mia carta di riserva: la fisica. Mi chiedeva il perché della scelta. Credo sia dipeso innanzitutto dal bisogno di dare ordine alla lingua, alle parole con cui comunichiamo. A volte con le parole si vogliono risolvere problemi di cui non si sa nulla… [parole, per esempio, quali] ‘destino’, ‘fortuna’, ‘anima’ ‘dio’. Parole inventate per esprimere un’opinione personale non suffragata dai fatti. Ricordo un bellissimo libro di Richard von Mises, dedicato ai problemi del linguaggio, nel quale si invitava a diffidare di pensatori come Kierkegaard, Bergson, Heidegger che si inventano parole al fine di risolvere un problema ma in realtà non fanno che renderlo più oscuro”. Mi piacerebbe proseguire riportando integralmente questo magnifico Straparlando di Antonio e delle repliche, altrettanto magnifiche, di Carlo – in ogni caso lo trovate in rete. Aggiungo solo che in quell’intervista Carlo dichiara il suo amore per la poesia o il fatto che “I bravi fisici ripuliscono la realtà da tutto ciò che è superfluo” o di avvertire “un gran fastidio” verso i postmoderni, o il riconoscere di aver collaborato con “molti geni… Io non lo ero”, e all’ultima domanda di Antonio “Non è un fisico bestiale”, Carlo si dichiara un comune mortale. Da parte mia, invece, l’ho vissuto quale uomo mortale, ma pure geniale; Carlo era e rimane un fisico eccezionale, con una cultura immensa, scientifica e umanistica, e i suoi libri di divulgazione costituiscono una buona, sana e alta divulgazione. Senza tutto il clamore che oggi alcuni scienziati esercitano per i loro libri e per mere questioni di puro marketing.

Il suo amore per l’epistemologia e il fatto di avermi onorata introducendo il mio nome nel comitato più alto di Sapere, accanto a nomi di incredibile valore, tra cui Rita Levi Montalcini (alla scomparsa di lei, Carlo, in una delle nostre telefonate, mi aveva affidato e non ne conosco il perché, di scrivere un pezzo per ricordarla su Sapere) hanno inciso profondamente sull’autostima di me stessa, autostima troppo spesso a bassi livelli. La storia di Sapere, fino a quando lui l’ha condotta, costituisce la storia della scienza, della tecnologia, dell’epistemologia. Rammento, ancor oggi, le sue conversazioni telefoniche, in cui mi faceva partecipe della balzana decisione irremovibile dell’editore di Sapere. La rivista sarebbe dovuta diventare più accessibile, più consona al grande pubblico, e per quel compito, che Carlo non si sarebbe mai assunto, l’editore trovava Carlo troppo anziano, con un ottica troppo tradizionale nell’impostare la rivista, mentre, a mio parere, quella rivista di Carlo, si è sempre attestata come la prima e forse l’ultima rivista italiana di ottima divulgazione scientifica.

La fine di questa vicenda amareggiante? Carlo ha salutato l’editore e in molti/e, tra cui io stessa, lo hanno seguito senza alcun indugio: da quel momento non leggo più Sapere e mai darei a loro un mio articolo. Carlo mi manca? Non potrebbe essere diversamente. Per rimediare a questa incolmabile assenza, mi arrangio come posso, spulciando qualche pagina di qualche suo libro, rileggendo vecchi numeri del suo Sapere, andando a riguardarmi su YouTube un video in cui Carlo rispondeva, in modo intenso e intelligente, sulla scienza, alle mie sciocche e ingenue domande. Cosa desidererei, illudendomi? Che Carlo fosse con tutti/e noi, il 6 maggio a Roma.

Nicla Vassallo

Innanzi una traccia di ciò che la filosofa (ordinaria di Filosofia Teoretica - Università di Genova - e associata al Cnr/Isem) dirà a Roma, il 6 maggio 2019, al convegno "Carlo Bernardini: la scienza mai separata dalla società. L’importanza di aggiornare senso e valore della conoscenza". Convegno patrocinato dall’Accademia dei Lincei, dal Dipartimento di Fisica dell’Università Sapienza, dall’INFS, dal CNR-ISTC, dall’USPID, e organizzato da Rino Falcone, Pietro Greco, Giulio Peruzzi.

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