Importanza dell'arte come terapia, ciò che accade a una persona entra nella vita di tutta l'umanità

VERTEMATE CON MINOPRIO - Non finirò mai di ringraziare il mio lavoro che mi permette di conoscere delle realtà preziose. Ho avuto modo di entrare nelle stanze della comunità “Al ciliegio” a Vertemate con Minoprio (Como). Dovevo incontrarmi coi risiedenti e parlare, appunto, del mio lavoro di scrittrice.

Ovviamente non potevo non approfittare di questo incontro per parlare con loro, per confrontarmi e farmi un viaggio nel loro sentire.

La prima cosa interessante nella quale mi sono imbattuta è stata una targa appesa all'ingresso, una semplice frase: “Se si sentiranno amati saranno felici … la loro gioia dipende da noi”.

Più tardi, quando ho avuto modo di conoscere la responsabile, mi ha confidato che è sempre stato il suo modo di agire.

Sono salita al piano superiore dove già mi attendevano alcuni di loro: la comunità è suddivisa in due case in cui ci vivono persone con problemi mentali, oppure vari handicap.

Quello che sempre mi sorprende è l'accoglienza: la voglia di venirti incontro, di salutarti, di presentarsi. È come se subito aleggiasse una frase non detta: io ci sono, io sono.

Ci siamo seduti in circolo dopo un buon caffè offerto dalle operatrici che mi hanno aiutato e seguito durante tutto il tempo in cui sono rimasta. È sempre importante avere chi ti affianca, chi conosce i vari problemi e, magari, può aiutarti in un tuo momento di difficoltà.

Perché la difficoltà era tutta mia, nel senso che, quando ho queste importantissime occasioni, pretendo da me stessa di riuscire a dare il meglio di me. Glielo devo.

Abbiamo parlato di tutto, dei loro lavori, dei loro passatempi, di come passano le giornate. Di quanto sia importante l'arte come terapia. Allora si colora, si scrive, si fotografa, si fanno gite.

Si scrive sul giornale della comunità; addirittura si fanno ricerche per il loro prossimo libro in cui hanno raccolto tante ricette e curiosità.

Li vedi tutti felici, contenti, appassionati.

Alcuni accennano la loro malattia, io non chiedo. Solo chi vuole parlarmene trova in me tutta la mia attenzione; ma io sono lì per quelle due ore, e non si parla di patologie, di problemi. Si parla di futuro, di presente, del loro e del mio sentire.

Accolgo sempre favorevolmente queste occasioni di incontro, perché mi pongo sempre quale tramite per parlare di cosa accade nelle stanze chiuse che ad alcuni fanno tanta paura; per far avvicinare le persone a queste realtà, realtà che appartengono ad ognuno di noi.

Non esiste un noi e un loro, in nessuna categoria, in nessuna situazione. Quello che accade a una persona, accade a tutta l'umanità.

Molti di loro non hanno famiglia, la loro famiglia l'hanno trovata lì, fra gli altri pazienti; fra gli operatori, la responsabile che, mi dicono: è la mamma di tutti noi.

Non mancano i litigi, i dispetti; chi vuole fare pace e chi no. C'è anche “Pierino la peste”!

Finisco la giornata; mi hanno fatto a loro volta molte domande, richieste argute, che richiedono non solo una banale risposta, ma che io davvero mi apra e mostri cosa c'è dietro il mio lavoro.

Insistono per farmi visitare la loro casa, tanti chaperons che orgogliosi mi mostrano i loro lavori, davvero bellissimi; le camere, la cucina, i salotti. I laboratori dove assemblano vari lavori.

Sono tornata a casa con tante e tante informazioni ed emozioni a girarmi per la testa.

Spero solo che, quel poco che ho fatto, li abbia ricompensati del tanto che mi hanno lasciato.

di Miriam Ballerini

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