MILANO - La nuova luce sull’allenatore dell’Inter Weisz deportato ad Auschwitz rivela aspetti in ombra della Shoah dal nel segno dello sport grazie al libro in uscita a gennaio L’allenatore ad Auschwitz. Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager di Giovanni Cerutti, pubblicato in occasione della Giornata della Memoria: come scrive l’autore,«ogni singola storia che emerge dalla vicenda dello sterminio è irredenta e irredimibile. Non ci sono significati umani che le possano riscattare» eppure occorre sapere e raccontare. L’ungherese Árpád Weisz, tra i più grandi allenatori degli anni trenta, colui che introdusse per primo gli schemi nel campionato italiano, fu commissario tecnico dell’Inter (dove scoprì Giuseppe Meazza) ma anche del Novara e del Bologna, fino all’espulsione dall’Italia, in seguito alle leggi razziali, e alla tragica fine nel lager di Auschwitz.
La sua vicenda ha tratti non comuni che meritano di essere approfonditi. Queste pagine illuminano il periodo italiano ricostruendo con precisione il ruolo che ebbe Weisz nello sviluppo del “sistema”, che in quegli anni stava mutando definitivamente la fisionomia del calcio sullo sfondo dell’affermazione del professionismo. Una testimonianza e una riflessione sull’eredità della Shoah e sull’importanza della memoria, che coinvolge nel dramma anche lo sport.
Dall’introduzione del libro:«Nell’Europa dell’occupazione tedesca venivano violentemente ridefiniti i criteri di appartenenza alle compagini statali, imponendo con la forza le categorie forgiate dalle leggi di Norimberga del 1935. Non più olandesi, ungheresi, italiani, francesi, polacchi, ma ebrei.
Tranne rarissime eccezioni, tutte le società europee vennero lacerate dalla sfida posta dall’intolleranza e dal fanatismo dei nuovi dominatori, perdendo la capacità di mantenere fede alle proprie migliori tradizioni e finendo per adeguarsi rapidamente alla nuova realtà. O forse continuiamo soltanto a illuderci che tolleranza e pluralismo fondino la capacità di costruire la convivenza civile nel nostro continente? Che rappresentino le migliori tradizioni della nostra Europa? In virtù delle quali Árpád Weisz era semplicemente un cittadino ungherese ben inserito nel Paese che aveva scelto per lavorare, discendente di una tradizione religiosa e culturale secolare cui forse guardava con progressivo disincanto, dotato di grande talento per allenare e impegnato a contribuire a fondare le basi teoriche dello sport che tanto lo affascinava? È un fatto, un doloroso fatto, che oggi non si possa ricordare Weisz così come avrebbe meritato. Non possiamo restituirgli semplicemente i suoi meriti sportivi, ricostruire la sua carriera e studiare le sue innovazioni. Siamo costretti a ricordare che fu espulso, deportato e assassinato insieme a sua moglie Ilona e ai suoi bambini Roberto e Clara. Che queste morti sono state possibili nell’Europa del XX secolo, in società moderne e sviluppate. Soprattutto questo. Nella consapevolezza inaccettabile che i morti sono morti per sempre».
Tranne rarissime eccezioni, tutte le società europee vennero lacerate dalla sfida posta dall’intolleranza e dal fanatismo dei nuovi dominatori, perdendo la capacità di mantenere fede alle proprie migliori tradizioni e finendo per adeguarsi rapidamente alla nuova realtà. O forse continuiamo soltanto a illuderci che tolleranza e pluralismo fondino la capacità di costruire la convivenza civile nel nostro continente? Che rappresentino le migliori tradizioni della nostra Europa? In virtù delle quali Árpád Weisz era semplicemente un cittadino ungherese ben inserito nel Paese che aveva scelto per lavorare, discendente di una tradizione religiosa e culturale secolare cui forse guardava con progressivo disincanto, dotato di grande talento per allenare e impegnato a contribuire a fondare le basi teoriche dello sport che tanto lo affascinava? È un fatto, un doloroso fatto, che oggi non si possa ricordare Weisz così come avrebbe meritato. Non possiamo restituirgli semplicemente i suoi meriti sportivi, ricostruire la sua carriera e studiare le sue innovazioni. Siamo costretti a ricordare che fu espulso, deportato e assassinato insieme a sua moglie Ilona e ai suoi bambini Roberto e Clara. Che queste morti sono state possibili nell’Europa del XX secolo, in società moderne e sviluppate. Soprattutto questo. Nella consapevolezza inaccettabile che i morti sono morti per sempre».
Giovanni A. Cerutti, storico e saggista,è direttore della Fondazione Marazza di Borgomanero e direttore scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza di Novara. Per Interlinea ha curato De Andrè il corsaro, di Michele Serra, Fernanda Pivano e Cesare Romana, Bob Dylan. Play a song for me, Quel Natale nella steppa, Cantautori a Natale e Ma la fortuna dei poveri dura poco. È cultore della materia in scienze politiche all’Università degli studi di Milano.
Giovanni Cerutti, L’allenatore ad Auschwitz. Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager. Interlinea, 2019, 129 pagine, in distribuzione nazionale dal 27 gennaio 2020.
Giovanni Cerutti, L’allenatore ad Auschwitz. Árpád Weisz: dai campi di calcio italiani al lager. Interlinea, 2019, 129 pagine, in distribuzione nazionale dal 27 gennaio 2020.
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