Coronavirus. Nadia Verdile racconta la storia dell'arrendatore Giovan Paolo Marzato. E la crisi dopo la peste

NAPOLI - Oggi Covid-19, ieri peste. Fu flagello per millenni e a Napoli, nel 1526, si registrò un’epidemia gravissima raccontata dagli storici delle epoche successive. Nell’Archivio di Stato di Napoli, che in questi giorni sta offrendo un prezioso servizio di condivisione sui Social di documenti che raccontano la storia non solo del tempo ma anche dell’umanità che la viveva, è conservata la richiesta di un arrendatore, tal Giovanni Paolo Marzato, che nel 1531 chiedeva alla Regia Camera della Sommaria di andargli incontro e sgravarlo degli oneri dovuti perché era in difficoltà economiche: i danni procurati dalla peste prima, dalla guerra e dall’occupazione di Napoli poi, lo avevano messo in ginocchio. «Nel 1531 Giovan Paolo Marzato – dicono dall’Archivio -, arrendatore della gabella del terzo del vino, ricorre contro il regio Fisco per chiedere l'escomputo dei danni subiti a causa della guerra e della peste, durata dal settembre 1526 al novembre 1527, allorché gli Eletti della città di Napoli “fecero serrare le taverne fora de la detta cità [...] et mandare bando che le ostarie et taverne intro de detta cità non devessero allogiare persona alcuna».

L’arrendatore (il termine viene dallo spagnolo arrendador) era un appaltatore di gabelle ne nell’antica finanza napoletana e in quella pontificia. La storia raccontata è simile a quella odierna. L’epidemia imperversava in città e le ordinanze stabilivano la chiusura delle taverne e delle osterie con conseguente crollo delle entrate sia per i titolari degli esercizi sia per chi esigeva da loro le gabelle.

Quell’epidemia di peste fu devastante. Lo storico che con maggiore precisione di date e di fatti se ne occupò fu Giovanni Antonio Summonte, il quale, nel quarto volume della sua Historia della città e del Regno di Napoli, pubblicata nel 1749, così scriveva: «Nell’anno stesso (1526) la peste cominciò in Napoli il suo lavoro, talmente continuò tutto l’anno 1527, che non fu casa che non ne sentisse travaglio. Quando del tutto parve estinta allora pigliò maggior forza perciocché negli anni ‘28 e ‘29 fé grandissimo danno, onde vi morirono dintorno 65000 persone; così contagioso morbo si intese la prima volta in Napoli, in una casa appresso la chiesa di S. Maria della Scala, nel mese di agosto del predetto anno 1526, qual casa appestata fu subito, per ordine degli Eletti della città, sbarrata, per levarsi il commercio che perciò questa strada, fino al presente, vien denominata de le Barre».

Di quell’epidemia si occupò, agli inizi del novecento, per incarico della Direzione Generale della Sanità Pubblica, il medico provinciale Luigi Sirleo, dirigente 1’ Ufficio Sanitario del Porto di Napoli. Questi diede alle stampe un prezioso lavoro di ricerca, nel 1910, che aveva questo incipit: «Ricercando nel Grande Archivio Municipale di Napoli primi accenni dei provvedimenti adottati per combattere l’importazione della peste per la via del mare, argomento che sarà trattato parte, mi stato dato di raccogliere una serie di documenti, che mi mettono in grado di riempire una lacuna, esistente nella storia sanitaria di questa città, propriamente quella che riguarda la peste che afflisse Napoli dall’anno 1526 all’anno 1528.

Le lotte che, in questo periodo, agitarono l’Italia che ebbero per teatro specialmente il Regno di Napoli, distrassero probabilmente gli storici contemporanei da questa epidemia, tanto che poco niente arrivato noi per mezzo loro».

Gli storici si distrassero ma il povero Giovanni Paolo Marzato di quegli eventi fu tragicamente testimone e nella sua richiesta fa anche menzione dei danni a lui provocati dall’invasione del Regno prima e dall’assedio della città poi. Leggere i documenti della storia ci fa da monito, dovremmo imparare, poco lo facciamo.

Il documento è conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, Processi antichi, Regia Camera della Sommaria, Ordinamento Zeni, busta 27, fascicolo 31.

di Nadia Verdile

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