Ritornando alla protesta della scuola torinese, la mia solidarietà va tutta alla nostra povera ministra Azzolina, che pensava che con un po’ di sana organizzazione, e con i dispositivi di sicurezza, la scuola italiana sarebbe potuta tornare alla normalità. E, invece, confusione totale, perché in Italia si sa, di “sano” c’è ormai poco e niente! E che poi siamo in tempi di virus.
Al centro della protesta dei ragazzi torinesi, il ritorno della didattica a distanza che non funziona o funziona poco, la gestione del contenimento dei contagi e i tamponi agli studenti con tempi di attesa biblici; la mancanza di spazi con aule che non permettono distanziamento e le lezioni tenute con le finestre spalancate.
I banchi a rotelle non hanno funzionato, e per la verità nella scuola di mio figlio non si sono mai visti. In Piemonte è record di contagi, ma i ragazzi hanno continuato ad andare a scuola nonostante ci fossero addirittura dei positivi nelle classi.
E che dire poi delle lezioni di cinque ore con le finestre spalancate, che quasi sicuramente non ti prenderai il Covid ma certamente una bella bronchite... Da buon genitore mi sono sempre tenuta debitamente a distanza dalle varie proteste e dissennati scioperi scolastici, ma i ragazzi questa volta hanno proprio ragione a protestare ed è innegabile che la didattica in presenza diventerà quanto prima un discorso astruso.
Il Governo ha avuto sette mesi per fare ripartire la scuola in sicurezza, a un mese dalla riapertura l'intero sistema scolastico si è rivelato totalmente inadeguato. Il perché ce lo stiamo chiedendo tutti e tutti noi abbiamo un'unica risposta.
Perché il problema è legato principalmente ai trasporti. Gli autobus, le metropolitane, i tram degli studenti, alle 7 del mattino sono così pieni che nemmeno nelle strade di Calcutta si vedono scene del genere; un girone dantesco di giovani ammassati come delle olive ascolane, nonostante che il tetto massimo di capienza sia stato fissato all’80%.
Chi ha fissato un tetto massimo senza conoscere i numeri dell’utenza e i mezzi a disposizione, probabilmente viveva su un altro pianeta e stava giocando a Risiko. E che poi a pensarci bene questi poveri studenti ammassati, con la scarsa pulizia dei vetusti autobus che abbiamo, insieme col Covid è altamente probabile che rientrino a casa con le pulci e con la scabbia.
Passando invece alla questione “scuola-tamponi”, giovedì scorso mio figlio aveva la febbre. Con alcuni alunni positivi al Coronavirus, nell'istituto è stato facile allarmarsi. Il venerdì si è per noi trasformato in un'Odissea. Abbiamo chiamato il numero verde e non rispondeva nessuno. Chiamato il medico curante e non era in servizio perché venerdì. Chiamato la guardia medica la quale consigliava di contattare il curante???!!!! Chiamato l'ospedale e ci ha intimato di non recarci in ospedale. Non potendo nemmeno chiamare il mitico signor Aranzulla, passato un primo momento di sconforto, e dopo avere cercato la corretta sintomatologia su Internet, alle ore 23 inoltrate, escludendo come causa le finestre spalancate, poiché aveva usufruito della didattica a distanza, non mi era ancora del tutto chiaro quale fosse la causa originaria della strana febbre di mio figlio. Che fosse causata da virus parainfluenzali o dal famigerato Covid-19?
Così, a scanso di equivoci, il sabato mattina con la pazienza di un monaco tibetano, mi sono messa in fila, per 5 ore in coda, (arrivando alle 7 del mattino) al freddo (e non oso immaginare quest'inverno) per fare il benedetto tampone al fanciullo.
L'esito dei famosi test rapidi? Pura fantascienza! Così rapido come mia nonna che fa la 100 mt ad ostacoli: da 48 a 72 ore. La scuola in sicurezza dunque è un’utopia perché le criticità sono evidenti e anche le famiglie degli studenti sono in difficoltà.
La minaccia per il diritto allo studio non è il Covid-19 ma è l’incapacità di sostenere un’emergenza con deboli strategie e iniziative e mirabolanti decreti. L’unica strada percorribile è ripensare la scuola in un’ottica nuova, ma il virus ahimè avanza.
di Michela Farabella
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