TORINO - Gli accadimenti sul territorio Ucraino che da qualche giorno hanno -verrebbe da dire finalmente- rubato la scena sulle prime pagine dei giornali e dei media alla pandemia, destano non poche perplessità tanto dal punto di vista logico quanto da quello giuridico. Al di là delle manipolazioni di video ed immagini ad opera di molti media, che di certo verranno ampiamente sanzionate dalle Corti competenti, qui ci si vuole soffermare sul legame giuridico tra conflitto e stato di diritto.
Da sempre il legame del fenomeno della guerra con il diritto è arduo e complesso. La necessità diffusa delle comunità nella storia è sempre stato quello di prevedere, nei diversi testi costituzionali, così come nella legislazione ordinaria, disposizioni che esprimessero l’atteggiamento di un ordinamento statale nei confronti dell’uso della forza e che intendessero predisporre degli strumenti utili ad affrontare eventuali attacchi.
La guerra, tuttavia, può considerarsi altresì un fenomeno creatore di nuovi ordinamenti e, pertanto, di nuovo diritto.
Il riferimento è fatto, a ben vedere, a quelle guerre di liberazione nazionale che furono legittimate dalle stesse Nazioni Unite, come risulta dalla risoluzione n. 3314 del 1974 dell’Assemblea Generale, la quale all’articolo 7 ammette proprio il diritto di “combattere per realizzare la autodeterminazione”. Si parla, in proposito, di guerre costituenti, a un esame delle quali, invero, risulta che non sempre il conseguimento della liberazione nazionale comporti la totale autonomia nelle decisioni costituenti.
Tra le sue premesse, la Carta delle Nazioni Unite recita: “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità (...)”. Incipit oltremodo interessante per alcune sintetiche osservazioni su quanto sta accadendo oltre e tra i nostri confini. Dinnanzi a situazioni di pericolo possono infatti verificarsi due differenti modalità di reazione: o ricorrendo ad organi e procedure ordinarie, ovvero instaurando ordinamenti appositi in via di provvisoria deroga alle disposizioni costituzionali.
Si parla, in questo secondo caso, di ordinamenti eccezionali, che per la natura delle circostanze che sono volti a fronteggiare non possono essere predisposti con anticipo. Vista, peraltro, la criticità della situazione che ne giustifica l’instaurazione, tali stati eccezionali non vengono formalizzati con dichiarazioni ufficiali, anche perché fondati sull’ampliamento delle prerogative dell’esecutivo, ciò che trae con sé una minore garanzia di tutela dei diritti.
Con riferimento particolare all’esperienza italiana, si osserva da sempre come il coinvolgimento in conflitti internazionali avvenga senza mai attivare la disciplina costituzionale prevista per il caso di guerra, così favorendosi una predominanza della decisione governativa, a discapito del regime costituzionale delle competenze e dei diritti. Ovvero, una predominanza dell’Esecutivo. Cosa a cui, questa particolare epoca storica, ci ha già tristemente abituati dalla nascita della situazione pandemica e le proroghe (ben oltre il limite legale) dello stato di emergenza pandemica che, in scadenza al 31 marzo, si vede ora affiancato dallo stato di emergenza per i motivi di guerra, in scadenza, al momento, il 31 dicembre.
Se poi, in uno Stato come il nostro da tempo restio al ricorso alle consultazioni elettorali per designare quelli che ormai a pieno titolo possono essere definiti “i regnanti”, il Governo volesse per una volta dare spazio al dettato costituzionale nel proprio agire, stavolta potrebbe trovarvi buona sponda nell’art. 60 che prevede: "La Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra”.
Intelligenti pauca.
di Lorenza Morello
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