Patti Smith: memoria eterna dell'amore, senza Dio e con Dio

PESCARA - Riflettori puntati sul Teatro Massimo di Pescara e le luci si colorano d’America e d’Italia per l’attesissimo concerto di Patti Smith, icona mondiale del rock dagli anni Settanta, madrina irrisolta del punk, che torna attualissima a fondere sul palco, ancora una volta, la sua inconfondibile cifra poetica bohémienne alla musica. Scaletta di tredici momenti d’arte spirituale, che ripescano dal cassetto dei cavalli di battaglia quel pot pourri di cultura visiva e grandi classici della letteratura tipico della carismatica cantautrice. La chiamano “Sacerdotessa”, e non a caso. Come un essere di mezzo, al crocicchio tra il sopra e il sotto, tra l’Occidente e l’Oriente, come una traghettatrice di anime o una Sibilla Cumana, Smith si conferma protagonista materna sulla scena, che, come ogni scena, diventa il tempio ideale per la sua voce graffiante e trascendentale. Fa da cornice alla chioma argentea il braccio destro Tony Shanahan (tastiera e basso) e il figlio Jackson (chitarra elettrica), frutto dei quattordici anni d’amore con il marito Fred “Sonic” Smith, mancato prematuramente nel ’94.

L'omaggio al pittore e poeta britannico William Blake

Il risultato è un concerto intimo, familiare, penetrante, conferito dall’assenza di base ritmica percussiva. «I’m grateful to be here», ma sembra lei ad accogliere il pubblico, introducendo alla versione in acustico del celeberrimo Grateful, dall’album Gung Ho del 2000. Segue l’omaggio al pittore e poeta britannico William Blake, emblema del genio tragico sottostimato in vita, che tanto ispirò la giovane Smith a seguire sempre il proprio “daimon”, lo «human heart». Non manca la traduzione americana de L’Infinito di Leopardi, che insieme con Rimani di D’Annunzio sanciscono il legame artistico, spirituale e affettivo con un’Italia che ha il merito di averle conferito ben due lauree ad honorem. Le tematiche restano quelle indissolubili e universali: l’amicizia nel ricordo commosso di Tom Verlaine; la chiamata all’unità contro lo spargimento di sangue e l’appello al diritto alla vita dei bambini in guerra, in una climax che raggiunge l’apice con Peaceable Kingdom; la spiritualità fluttuante delle emozioni acquatiche in Nine, brano del 2008 dedicato al «Captain on his golden boat», Johnny Depp; l’amore “religioso”, totale e annullante di Dancing barefoot, ispirato alla pittrice Jeanne Hébuterne e al suo struggimento per Modigliani; il groove lento di Work firmato Charlotte Day Wilson, blues adorato da Smith e coverizzato come inno al coraggio, alla pazienza, alla prudenza del vivere (‘cause people come and go/ but I think you should know/ that I/ I think this will work).

Because the night riadattato da Patti Smith a memoria eterna dell'amore

Due diamanti musicali a sigillo finale le guadagnano la standing ovation. Il grande classico Because the night, che porta l’illustre paternità di Bruce Springsteen e riadattato da Smith a memoria eterna dell’amore con Fred nell’album Easter del ’78, prodotto da Jimmy Iovine: storia di passione, di lussuria, dell’eccitazione degli amanti notturni; e infine Gloria, dall’album Horses del ‘75, passato dallo scandalo della sfida a Dio degli anni giovanili alla pacificazione con la religione dell’età adulta. E dunque Patti Smith alla soglia del 77esimo genetliaco si dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, un’artista transgenerazionale, una Pizia appassionata di vita, grazie a cui la contraddizione del rapporto con l’esterno è risolta in poche note che diventano dei mantra, a tratti ninna nanne, a ristabilire in sole due ore di assoluta magia la connessione di ogni spettatore rapito con il proprio io profondo.

di Fatima Fraraccio

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