NAPOLI - Al Teatro Augusteo di Napoli, da venerdì 2 febbraio e fino a domenica 11 febbraio 2024 'Na santarella di Eduardo Scarpetta, adattamento e regia di Claudio Di Palma; prodotto da Ente Teatro Cronaca - Sgat - Teatro Augusteo. In stile liberty e con vista sul golfo, ai margini del quartiere Vomero, sorge una villetta chiamata ‘Na santarella, non è una coincidenza, ma è proprio il nome dello spettacolo che diede a Scarpetta il titolo di “padre del teatro dialettale moderno”. Un evento che durò mesi con oltre cento repliche al Teatro Sannazaro, l’allora famosa "Bomboniera di via Chiaia", che solo una manciata di anni prima era stato illuminato dalla luce elettrica. Siamo nel 1889, a Parigi veniva inaugurata la Torre Eiffel e a Napoli Scarpetta conquistava la sua fama da commediografo. E il paragone non è forzato se si pensa che ‘Na santarella è tratta proprio da un’operetta francese Mam’zelle Nitouche, di cui l’autore conservò la trama e l’adattò alla sua città: Napoli.
Gente in fila all’Augusteo per la prima in debutto nazionale di ‘Na santarella
Un Regno dove era già arrivata la linea ferroviaria ma era anche costantemente minacciato dal colera; Napoli, dove monarchia e anarchia facevano rima obbligata, città complessa, doppia, in cui gli scugnizzi ballavano la tarantella e suonavano il tamburello mentre la classe borghese strizzava già l’occhio alla modernità del XIX secolo pronto per la sua Belle Époque. Oltre un secolo dopo, passeggiando verso Piazzetta Duca d’Aosta, si incontra gente in fila all’Augusteo per la prima in debutto nazionale di ‘Na santarella. “Embè... e già!” Ancora sta Santarella fa parlare di sé “embè, e già...” ancora ridiamo di una collegiale che si finge ingenua e invece ama il teatro al punto di convincere il suo maestro di musica a una piccola - grande follia: credere nel proprio sogno. All’acume scarpettiano non doveva essere sfuggito la potenza di un testo leggero ma anche capace di descrivere le dicotomie della società del tempo, nonché quelle rappresentabili in ogni epoca e luogo.
Virtù e i vizi di un’unica persona per eleggere la Santarella a simbolo di emblematico dualismo comportamentale
Massimo De Matteo è il nostro attuale Felice Sciosciammocca, che letteralmente significa "soffia in bocca", a bocca aperta, una maschera che l’interprete riprende nel suo senso originario di persona oltre che di personaggio, e in questo tutto il cast è ben diretto da un Di Palma che restituisce uno spettacolo brillante e attuale pur senza snaturarlo. Una sfida pericolosa, quella di rappresentare ancora e ancora una volta un classico del genere, ma ci era già riuscito un anno fa con “Il medico dei pazzi”, quasi con lo stesso cast, e sempre nella città dove tutto il popolo porta dentro l’eredità della “dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo”. Nelle note di regia si legge “La Santarella?! Che angelo di figlia! Ma pure Chesta nun è na femmena, è na diavula. Due pronunciamenti così contrastanti sulle virtù e i vizi di un’unica persona ci dicono, fra le altre cose, che Scarpetta ha inteso eleggere la sua Santarella a simbolo di emblematico dualismo comportamentale.”
Momenti poetici rari da vedere in questo genere di commedia
Nel primo atto le dinamiche tra Massimo e l'impareggiabile Angela De Matteo, insieme con Chiara Baffi, hanno dato il senso delle suddette note senza cadere negli eccessi, preparandoci con piccoli gesti all’evoluzione del testo e delle sue variabili, anche nel linguaggio, nei movimenti, nel disvelamento delle meravigliose debolezze umane. Nel secondo atto lo sdoppiamento è funzionale alla complessità del mondo femminile, e così l' originale Cesira di De Chiara ha mostrato l’aggressività ma anche la fragilità di una artista capricciosa solo perché mossa da passione. Il trio con Sabrina Nastri e Valentina Martiniello è stato delizioso, le tre sono attualizzate con travestimenti da Comicon dove fumetto e cultura Pop si intrecciano alle macchiette dei caratteri dei bravi Carlo di Maro, Luciano Giugliano, Federico Siano e Giovani Allocca. Fra i bei costumi di Annamaria Morelli e le scene di Luigi Ferrigno, le musiche di Paolo Coletta ci hanno accompagnato fuori e dentro il convento delle Rondinelle, dove Peppe Miale rompe il matrimonio combinato e trova la sua sposa, la quale riscatta la propria autonomia femminile dicendo “Io ho convertito lui e lui ha convertito me!”. Applausi dovuti e inaspettati, anche lì dove abbiamo assistito a momenti poetici rari da vedere in questo genere di commedia, l’immagine di don Felice e Nannina sotto l’ombrello, complici e malinconici, è una chicca di regia che resterà dentro ad ogni spettatore-sognatore che ama il teatro almeno quanto i protagonisti della commedia.
di Anita Laudando
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