ROMA - La Grande Guerra in Italia non è stata soltanto una "Azione militare" o una chiave di lettura geopolitica. La politica certamente occupa una visione significativa nella impalcatura tra le aree del Mediterraneo dell'Europa e del mondo americano, ma insiste, comunque, uno spazio culturale che si impone come processo ideologico - letterario - artistico che si è sviluppato intorno ai concetti di interventismo e neutralismo. La Grande Guerra, rispetto ai modelli militari risorgimentali, ha un'anima profondamente culturale che avvia la sua dialettica con il Pascoli di Barga, che invita ad intervenire militarmente nell'Africa del Nord e con D'Annunzio che chiede al Ministro del Consiglio Salandra di essere mandato a combattere nelle trincee e di essere attivo nelle linee del fronte.
I Futuristi sono interventisti come gli intellettuali de "La Voce". Persino il liberale Gaetano Salvemini è interventista e non lo era stato nel 1911. La cultura italiana tra il 1915 - 1918 è in uno "status" di imponente funzione letteraria rispetto al mondo europeo. Il ruolo di D'Annunzio è imponente nella letteratura europea come è imponenze la lezione futurista. Sono due capisaldi dell'interventismo. Come resta imponente il modello irredentista con le visioni nazionaliste e democratiche. Come resta imponente il ruolo dei giornali a partire dal "Corriere della Sera". Come resta imponente il gruppo interventista legato ad un Risorgimento mazziniano. Come restano imponenti le presenze liberali a cominciare da Giovanni Amendola, già menzionato, che legge nella Grande Guerra il compimento del processo risorgimentale.
Il ruolo di Mussolini rispetto a questo immaginario non risulta propriamente dominante anche se da socialista, qual era aprirà una spaccatura nello stesso partito. Ma in realtà l'Italia non ha mai fatto barricate contro la guerra. Non c'è stato sostanzialmente un forte partito contro. Certo, l'ala neutralista socialista è stata debolissima e molto ambigua. Contraddizioni e ambiguità nelle sfilacciate file di un vano neutralismo che è risultato indifferente se non dopo Caporetto che ha mutato addirittura posizione. Ha giocato una partita significativa, invece, la visione nazionalista dalla quale è partito D'Annunzio il 4 maggio del 1915 a Quarto richiamando addirittura la voce garibaldina all'insegna della identità nazionale. D'Annunzio resta il vero protagonista. Perché andrà anche oltre. L'impresa fiumana è l'esercizio successivo alla Grande Guerra. Fiume anticipa il 1922 e definisce le contraddizioni di una Italia nel conflitto mai assopito nella disarticolazione della Unità d'Italia. Gli scrittori restano protagonisti. Prima il Pascoli del 1911. Poi D'Annunzio resta il vero punto di riferimento, come abbiamo testimoniato, io e Neria De Giovanni, nello studio su D'Annunzio: "Io ho quel che ho donato". Non si può capire il processo politico e culturale che è vivo nel dibattito sulla Grande Guerra senza la funzione di Gabriele D'Annunzio. In quegli anni D'Annunzio è certamente oltre Mussolini e il neutralismo è soltanto una farsa.
di Pierfranco Bruni
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