Pirandello porta nel mondo islamico la teatralizzazione non solo dei personaggi, ma il senso della tragedia
ROMA - Pirandello e l’Islam. Introduce la tragedia nel mondo musulmano. La commedia e la tragedia, in Pirandello, sono linee trasversali, per usare una metafora, che partono da un orizzonte culturale, che è quello della “recita” greca e occidentale. Pirandello porta nel mondo islamico, ovvero in quello della Sicilia di Girgenti, la teatralizzazione non solo dei personaggi, ma vi porta il senso della tragedia che viene ad essere filtrata dalla dimensione onirica e inquieta della “commedia”. Il tessuto culturale islamico non conosce il tragico e non conosce la commedia, sia nei suoi aspetti ironici sia nella drammatizzazione letteraria. È una letteratura senza il tragico e, quindi, non ha la visione della commedia.
Pirandello non è soltanto un innovatore sul piano della teatralizzazione e della maschera, oltre il teatro stesso o oltre l’autore. Nella grecità e nella latinità, il teatro è la rappresentazione della metafora nella maschera e nella fusione tra essere personaggio ed essere uomo.
È un intreccio che coinvolge gli spazi, il tempo dell’agorà e l’inquieta esistenza della classicità, che ha radici anche nel Mediterraneo occidentale. L’Islam non ha neppure la consapevolezza, in quel contesto pirandelliano di Girgenti, del concetto di tragedia e di commedia.
Nella poetica, che poteva leggersi (e può) anche nella filosofia e nella metafisica del linguaggio, sottolineata da Averroè, come proposta di lettura, in una interpretazione tra civiltà occidentale e civiltà orientale, manca, sostanzialmente, il significato di tragedia e di commedia.
Il senso dell’Assoluto raccontato dal “Corano” esula da una dichiarazione sia esistenziale che letteraria della visione dell’inquieto, che può diventare senso disperante. In Pirandello, pur vivendo questa coordinazione tra tragedia e commedia, si assiste, costantemente, al “mal giocondo”, che resta la primaria avvertenza dell’ironia che attraverserà l’orizzonte tragico non solo del personaggio, ma dell’uomo.
D’altronde Borges ci avverte che Averroè si sente smarrito davanti ad una “spiegazione” dei concetti di tragedia e commedia. Pirandello entra, comunque, direttamente in uno scenario che è quello della maschera non solo come teatro, bensì come doppio. Realtà che non si trovano nella poesia islamica. Come nell’Islam non si conosce il teatro.
Prima che Pirandello entrasse nella rappresentazione culturale dell’Occidente, che è Oriente nella Sicilia di Girgenti, in un mondo perfettamente arabo – musulmano, la cultura islamica non conosceva neppure la “nozione” di teatro.
Infatti è in questa contaminazione di idee che Pirandello inventa il teatro. Focalizzando, chiaramente, l’attenzione sul classicismo occidentale, che resta quello greco, introduce nel Mediterraneo islamico la cultura della recita, ovvero del teatro.
Il tessuto letterario islamico penetrerà, anche attraverso Pirandello, il sottosuolo delle memorie. Tra Pirandello e Dostoievski la rappresentazione assume i contorni religiosi.
L’Islam non si pone il problema del filtro teologico. Vive nelle metafore, che non dovrebbero essere definite tali, del contatto diretto con Dio. In Pirandello c’è l’inquieto. Nella cultura musulmana c’è la certezza della verità o la verità che resta sempre certezza. In Dostoievski è rappresentabile la “dimensione” del Paradiso. In Pirandello il tragico è l’inquieto che conduce ad alcuna certezza.
L’altra questione è quella delle “ombre”.
Nell’Islam non c’è l’idea dell’ombra. In Pirandello si vive di ombre e la tragedia del personaggio ha i suoi fantasmi in una spiritualità che può diventare, come in Capuana, “spiritismo” o occultismo.
Pirandello, in fondo, attraversa anche Capuana e in alcuni versi pirandelliani la geografia mediterranea è anima di una spiritualità archeologica di un Mediterraneo metafisico ed etnico.
Il principio della parola in Pirandello, o l’incipit di un linguaggio sdoppiante e unificante, resta la poesia che ha dato voce proprio al “mal giocondo”. Ma la poesia di Pirandello è un linguaggio di etnie che assorbono contaminazioni e “spargono” contaminazioni.
Girgenti diventa, nella sua parola, il luogo delle metamorfosi, in cui il dettato antropologico proviene da un codice mentale che è quello arabo. Pirandello non ha mai smesso di confrontarsi con il linguaggio arabo. È stato proprio il suo non perdere mai il legame con il territorio del linguaggio, e della parola mediterranea, a porlo in ascolto di quegli echi che giungeranno dal mare e dai “giganti della montagna”.
Gli archetipi che provengono, come disse Maria Zambrano, dall’Africa portano odore di terra e di mare, di popoli e di civiltà, e hanno sogni di solitudine.
Pirandello è un tragico del (nel) Novecento. Ed è proprio questo senso tragico (o del tragico) che incastona la sua opera ad una filosofia del tempo, che è lettura di una civiltà inquieta e di una inquietudine irrisolta, che si dipana nella “costruzione” dei personaggi, i quali hanno bisogno del gesto e della voce.
Se la commedia e il tragico (o la tragedia) penetrano quella Sicilia islamica è anche vero che il modello arabo è già dentro la complessità filosofica e letteraria di Pirandello.
In altri termini se Pirandello scava nella coscienza araba, e vi immette i germi del concetto di commedia e tragedia, è anche vero che l’immagine e l’immaginario, la fantasia e il sogno sono gli incavi delle mille e una notte che restano nelle pieghe del destino delle avventure e dei personaggi stessi costruiti e raccontati dal luogo dell’essere che abitano lo scrittore. Un luogo che ci materializza nella lingua delle etnie del Mediterraneo.
di Pierfranco Bruni
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