ROMA - Una sconfitta o di una vittoria mai vinta: la scrittura e la letteratura. Corrado Alvaro muore assistito da Cristina Campo. Uno scrittore che ha raccontato il destino e la civiltà del Mediterraneo. Aveva 61 anni. Cristina Campo muore nel 1977. Una poesia lungo la deriva del silenzio e il mistero.
Scriveva:
«… ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:
"nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta" ».
Aveva 54 anni. Una vita alla ricerca dello scavo della malinconia. Luigi Pirandello muore dopo avere incontrato qualche parentesi prima Corrado Alvaro. Pirandello muore nel 1936. Aveva 69 anni. Un viaggio tra maschere e verità nel gioco delle parti e delle finzioni che sfidano la fantasia.
Sono andati via senza fare chiasso con nello sguardo la forza di essere abitati dalla solitudine e dalle parole rimaste spezzate tra le labbra. Chi ha abitato la solitudine come può abitarsi il silenzio è stata Maria Zambrano. Amica di Cristina, studiosa di Luigi e dentro le memorie del mondo sommerso di Corrado. Muore nel 1991. Aveva 87 anni. La filosofia e la poesia sono un intreccio ed è consapevole che “…la meraviglia non vuole nulla”. Perché come mi ha insegnato Cristina “La pura poesia è geroglifica: decifrabile solo in chiave di destino”.
C’è anche chi sceglie di morire in solitudine. Distante e lontano ma con la parola consumata come mestiere tra scrivere e vivere. Cesare Pavese. Muore nel 1950 in una stanza d’albergo. Aveva 42 anni.
Cosa lega questi inquieti erranti dell’anima e nei deserti? La malinconia? Si vive di nostalgie.
Non per una terra soltanto. non per una vita passata. Non per un tempo che il tempo stesso ovunque cancella lasciando la fragilità di un ricordare che perde di senso quotidianamente.
Cosa si direbbero oggi Corrado, Cristina, Luigi, Maria e Cesare?
Forse sì o forse non? Riuscirebbero a dirsi una sola battuta un segno? Per parlarsi o per dirsi soltanto uno sguardo?
Corrado: “Ho viaggiato tra i labirinti e mi sono trovato a percorrere le memorie e poi mi sono reso conto che ho vissuto un mondo sommerso…”.
Cristina: “Ho cercato di cavalcare la tigre dei miei pensieri, ma ho tra le mani una tigre di carta…”.
Luigi: “La recita non finisce mai e nonostante sia tutto apparenza abbiamo sempre bisogno di una maschera anche oltre la scena stessa che viviamo…”.
Maria: “Ho abitato il mio silenzio, ma l’sola non mi è bastata perché ogni casa che mi ha accolta ha sempre dei segreti nella soffitta…”.
Cesare: “La morte giunge nel momento in cui non siamo noi a deciderlo, ma è il destino che fa di noi ciò che siamo…”.
La “necropoli” è sempre “deserta”. Ogni scrittore vive di acropoli e di necropoli perché è in questi luoghi di voci e di silenzio che ogni gesto di tempo si colma di resti di memoria. Ed è qui che prende il sopravvento una dimensione di esistere che ha un senso nello spazio dell’onirico.
Cesare: “Non ci saranno giorni senza la misura del destino…”.
Luigi: “I miei personaggi? Io sono l’unico personaggio che vive in tutti i personaggi…”.
Maria: “Ho fatto della mia filosofia una confessione di letteratura e di esistenza…”.
Cristina: “Bisogna spettare che i ritorni diventino un vero ritorno…”.
Corrado: “L’uomo che vive aspettando naviga legando il confine agli orizzonti…”.
Ognuno di loro si porta dentro la teatralità di un retroscena. La grande confusione è lo smarrimento tra la ribalta e ciò che si considera realmente la scena. Si è sempre estranei. Lo straniero che vive in loro è ciò che loro non sanno di essere.
La scrittura diventa una griglia simbolica. Una griglia! Per alcuni è diventata una pagina scritta. Per altri una parola consumata prima di essere pronunciata. Ma in ognuno di loro la nostalgia non fu mai una vaga promessa.
Dalla nostalgia si rinasce o si muore. O si scrive.
La tragedia è sempre la sconfitta della nostalgia. Quando si incontrano il vissuto è un tempo che resiste alla memoria.
Così nel mondo sommerso da Corrado a Cesare e nei sottosuoli da Cristina a Luigi sino al vento andaluso di Maria.
Il resto è la pronuncia di una sconfitta o di una vittoria mai vinta. Questo è lo scrivere? Questa è la letteratura?
di Pierfranco Bruni
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