ROMA - Ci manca il coraggio della rivolta in questo tempo terribile. Non vi aspettate confessioni altisonanti. Ma parole in libertà di un eretico quale io mi considero. Ma per dirsi eretici ci vuole coraggio e si rischia. Io rischio e gioco senza esitazioni. Sono anni di confusione. Terribili. Inquietanti. Ma nonostante tutto ci manca il coraggio della rivolta. La rivolta è un sentimento interiore che ha una sua base culturale ed esistenziale. Il più delle volte esistenza e cultura coincidono. O si intrecciano. E il coraggio delle scelte è sempre un travaglio interiore. Siamo costantemente in una posizione in cui bisogna decidere. Fare delle scelte. Non stare con chi. Ma stare sempre con se stessi nella consapevolezza però di schierarsi. Non si può stare un po’ a destra e un po’ sinistra sperando di restare al centro. Mi sembra un gioco a ribasso per una mediocrità che si attanaglia tra le pareti della quotidianità.
Cristo perduto tra le scorribande di una Chiesa costretta a chiedere perdono
Bisogna essere uomini. L’uomo finito di Papini è l’uomo che ha capito l’intreccio tra il Diavolo e Cristo. E proprio per questo la sua eresia è la bellezza che ha il vento della salvezza. E’ la bellezza che ha vinto lo scavo del buio nei tagli del dolore. Siamo stanchi di provvidenze fittizie e di quella manzoniana ipocrisia che ha segnato la lacerazione di generazioni. Aboliamo una buona volta Manzoni . Siamo per una bellezza che dovrà salvarci dalla miseria mentale che è diventata ingombrante. Ma ci vuole coraggio. Ormai stiamo assistendo alla stagione in cui la coerenza è un vizio e l’opportunismo è una virtù. Io amo gli eretici che mi abitano e mi fanno camminare lungo la speranza e non tra i sensi di colpa e la finzione del peccato. Io amo gli eretici perché nello squarcio di Giordano Bruno, di Eloisa, di Abelardo, dei maghi e delle magie, degli sciamani e del Cristo perduto tra le scorribande di una Chiesa costretta a chiedere perdono per la sua storia di dannazioni non ha capito che se continua a vivere non lo si deve al rinnegato Pietro ma alla speranza di Giuda, alla testimonianza di Pilato che ripensa alla metafora del lavaggio delle mani, a Barabba che soffre le solitudini di tutti gli uomini soli e vinti.
La missione dell’uomo è un pellegrinaggio tra i luoghi delle lacerazioni
Giordano Bruno sembra osservare questo nostro tempo e forse in qualche angolo ironizza il suo destino. L’uomo che ha rischiato scegliendo non è nella storia. E’ la storia. E in questo tempo debole di filosofie fragili e di pedagogie del nulla alla don Milani cosa ci resta? Il suicidio o la rivolta? Alleggerisco e aggredisco la mia coscienza con Camus e non con Sartre, cattivo maestro, con Eliade che sa che c’è sempre un focolare nel nostro cuore, con i sotterranei o sottosuoli dell’anima di Fedor. La missione dell’uomo è un pellegrinaggio tra i luoghi delle lacerazioni e voglio restare me stesso pur nella mia solitudine o nel mio oblio ma con la dignità di un viaggio che deve diventare saggezza. Penso spesse volte ai danzatori Sufi. Mi travolgono in un immaginario che ha il gioco dell’infinito e vivono il cielo pur non guardandolo. Ascoltandolo. Ma come posso amare Pietro? Come posso credere ad una chiesa costruita su Pietro? Con le belle storielle. Bene. Io vivo nei Vangeli apocrifi o in quelli gnostici.
Questo tempo è semplicemente mediocre
Vengo da una lunga scuola che non conosce gli oratori ma le strade. Una chiesa costruita su Pietro mi fa paura. Gli sciamani indiani mi hanno insegnato che quando si avverte la paura bisogna cercare la luna e quando la luna non c’è bisogna cercare il vento e quando il vento non c’è bisogna cercare un fiume e quando il fiume non c’è bisogna cercare almeno un ruscello e quando il ruscello non c’è bisogna inventarsi tutto a cominciare dalla luna e cercare di avere tutto nello sguardo e non accontentarsi allora soltanto della luna ma raccogliere nello sguardo la luna, il vento, il fiume, il ruscello… Non credo al perdono perché non credo al peccato. Siamo in un tempo che ha perso gli archetipi dell’abitazione dell’anima e i profeti sono distanti… Cristo, Maometto, Budda siamo indifesi? Non credo. Siamo semplicemente mediocri. Anzi questo tempo è semplicemente mediocre. Mi vestirò di rosso con bracciali e collane di corallo e andrò via. La mia tenda è segnata da un falò sempre acceso.
Cristo e il Diavolo sono la vita
Anche d’estate. Una tenda sul mare. Mi lascerò vivere dall’oblio. In questa attesa in cui la coerenza è un vizio e l’opportunismo è una virtù. Nessuno mi cercherà. Perché nessuno dovrà cercarmi. Se l’eresia è una follia consideratemi pure folle tanto il resto è mediocrità e il mediocre è il niente. Voi continuate a prendere lezioni da un certo don Lorenzo e scuole varie pronti ad offrire consigli e giudizi (dimenticavo: io sono uno di quelli che la scuola di don Lorenzo aveva bocciato, espulso, emarginato, rimandato e poi ripescato perché figlio e nipote di generali, comandanti, borghese e aristocratici e ricchi. Se non fossi stato figlio e nipote di di… con il mio coraggio, la mia dignità e la mia lealtà la mia storia sarebbe finita come il Pierino dei ricchi). Io non smetterò di lasciarmi guidare da Carlos, da Robert, da Maria, da Nuvola Rossa, da Cavallo Azzurro, da Barabba e Giuda. Tutto il resto mi serve per accendere un fuoco di lune, con il mio paese nel vento, con i miei rovi e la mia bicicletta. Io vinco, nonostante tutto mi considero un vinto, sempre perché sono convinto che Cristo e il Diavolo sono la vita. Il resto è il nulla. Gli eretici conoscono la follia ma si allontanano dal nulla. Non coltivo più rose bianche. Ma conchiglie. Coltivo conchiglie per il tempo che sarà che verrà.
di Pierfranco Bruni
di Pierfranco Bruni
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