Reati tributari, bancari, fallimentari e riciclaggio: 4 imprenditori arrestati nell'operazione "Paradiso"
AREZZO - Procura della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo. Operazione "Paradiso". Arrestati per autoriciclaggio quattro imprenditori, nove persone interdette dall'esercizio di attività imprenditoriali ed altre tre indagate. Sequestrati beni immobili, società e marchi brevettati per un valore di oltre 25 milioni di euro.
Al termine di complesse indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Arezzo sotto la direzione della Procura della Repubblica, oggi sono state eseguite quattro ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari e altre nove misure interdittive nei confronti di sedici persone, complessivamente indagate, tra cui diversi imprenditori.
Le misure sono state disposte dal G.I.P. del Tribunale di Arezzo nei confronti di soggetti ritenuti facenti parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, bancari, fallimentari e di riciclaggio.
È stato altresì disposto il sequestro preventivo delle quote di quattordici società e di beni, mobili ed immobili, per un valore complessivo di circa 25,5 milioni di euro .
Al termine di complesse indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Arezzo sotto la direzione della Procura della Repubblica, oggi sono state eseguite quattro ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari e altre nove misure interdittive nei confronti di sedici persone, complessivamente indagate, tra cui diversi imprenditori.
Le misure sono state disposte dal G.I.P. del Tribunale di Arezzo nei confronti di soggetti ritenuti facenti parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari, bancari, fallimentari e di riciclaggio.
È stato altresì disposto il sequestro preventivo delle quote di quattordici società e di beni, mobili ed immobili, per un valore complessivo di circa 25,5 milioni di euro .
L’ indagine trae origine dall’attività di ricerca informativa e dall’analisi dei flussi finanziari anomali condotta dalla Guardia di Finanza nell’ambito della sua missione di polizia economico finanziaria.
Le investigazioni hanno consentito di ricostruire lo schema utilizzato da anni dal gruppo che consisteva nel portare aziende tessili a ben posizionarsi sul mercato di riferimento per poi avviarle, in mano a prestanome, alla decozione senza corrispondere imposte e contributi e non rientrando dagli affidamenti ricevuti dal sistema bancario.
Le società fallite venivano quindi rimpiazzate da altri soggetti economici e le disponibilità sottratte venivano poi fatte confluire in un nuovo assetto patrimoniale ed imprenditoriale, diversificato anche in altri settori – immobiliare, turistico, vitivinicolo – e schermato con l’interposizione artificiosa di entità giuridiche di diritto estero.
Le investigazioni sono state condotte contestualmente, in modo coordinato, sul piano giudiziario e su quello amministrativo, con l’esecuzione di verifiche fiscali.
Le stesse hanno consentito di appurare l’esistenza di perduranti condotte penalmente rilevanti poste in essere da soggetti alcuni dei quali già condannati in passato per reati tributari e dichiarati falliti dal Tribunale di Arezzo.
Risulta un’unica cabina di regia dietro la conduzione illecita di affari, ben espressa dal tenore delle conversazioni intercettate.
Sull’assetto societario sono stati fatte gravare nel tempo anche ingenti spese personali relative a viaggi e alla disponibilità di beni di lusso (tra cui un aereo privato ed un’imbarcazione). Negli ultimi quattro anni sono state individuate spese per circa cinque milioni di euro a fronte dell’omessa dichiarazione di redditi in Italia grazie all’artificioso spostamento della residenza all’estero da parte di alcuni degli indagati.
Il patrimonio posto sotto sequestro, al netto delle passività finanziarie esistenti, è stato valutato in oltre venticinque milioni di euro e ricomprende 14 società, 179 immobili (tra cui il palazzo “Bianca Cappello” in Firenze), diverse auto di lusso con targa estera, un maneggio con quaranta cavalli, oltre 500 ettari di terreni, prevalentemente adibiti a vigneti, dislocati tra Toscana, Sicilia ed Emilia Romagna, nonché importanti marchi registrati - riporta il comunicato stampa della Gdf -.
Le indagini hanno potuto basarsi anche sul contributo di analisi dell’UIF della Banca d’Italia.
Nel corso delle indagini taluno degli indagati ha tentato di “avvicinare” i Finanzieri impegnati nelle verifiche fiscali e la loro linea gerarchica.
Queste condotte sono state costantemente riferite a quest’Ufficio, che ha avuto modo di rilevare l’impermeabilità rispetto ai tentativi in questione, nonché ha fortemente apprezzato l’estrema efficienza e capacità con cui l’indagine è stata condotta dalla Guardia di Finanza.
Del resto, il tentativo di inquinamento probatorio è altresì emerso nella sistematica propensione, da parte degli indagati, ad alterare le scritture amministrativo contabili, anche mediante il loro occultamento, la loro distruzione o la formazione ad hoc di documenti.
Ci si è trovati di fronte ad un quadro sintomatico di inquinamento delle prove, rispetto a condotte che il GIP ha considerato “gravi, reiterate e stratificate”, poste in essere da soggetti connotati da “elevata spregiudicatezza, elevata professionalità nel crimine e forte antisocialità”.
Le investigazioni hanno consentito di ricostruire lo schema utilizzato da anni dal gruppo che consisteva nel portare aziende tessili a ben posizionarsi sul mercato di riferimento per poi avviarle, in mano a prestanome, alla decozione senza corrispondere imposte e contributi e non rientrando dagli affidamenti ricevuti dal sistema bancario.
Le società fallite venivano quindi rimpiazzate da altri soggetti economici e le disponibilità sottratte venivano poi fatte confluire in un nuovo assetto patrimoniale ed imprenditoriale, diversificato anche in altri settori – immobiliare, turistico, vitivinicolo – e schermato con l’interposizione artificiosa di entità giuridiche di diritto estero.
Le investigazioni sono state condotte contestualmente, in modo coordinato, sul piano giudiziario e su quello amministrativo, con l’esecuzione di verifiche fiscali.
Le stesse hanno consentito di appurare l’esistenza di perduranti condotte penalmente rilevanti poste in essere da soggetti alcuni dei quali già condannati in passato per reati tributari e dichiarati falliti dal Tribunale di Arezzo.
Risulta un’unica cabina di regia dietro la conduzione illecita di affari, ben espressa dal tenore delle conversazioni intercettate.
Sull’assetto societario sono stati fatte gravare nel tempo anche ingenti spese personali relative a viaggi e alla disponibilità di beni di lusso (tra cui un aereo privato ed un’imbarcazione). Negli ultimi quattro anni sono state individuate spese per circa cinque milioni di euro a fronte dell’omessa dichiarazione di redditi in Italia grazie all’artificioso spostamento della residenza all’estero da parte di alcuni degli indagati.
Il patrimonio posto sotto sequestro, al netto delle passività finanziarie esistenti, è stato valutato in oltre venticinque milioni di euro e ricomprende 14 società, 179 immobili (tra cui il palazzo “Bianca Cappello” in Firenze), diverse auto di lusso con targa estera, un maneggio con quaranta cavalli, oltre 500 ettari di terreni, prevalentemente adibiti a vigneti, dislocati tra Toscana, Sicilia ed Emilia Romagna, nonché importanti marchi registrati - riporta il comunicato stampa della Gdf -.
Le indagini hanno potuto basarsi anche sul contributo di analisi dell’UIF della Banca d’Italia.
Nel corso delle indagini taluno degli indagati ha tentato di “avvicinare” i Finanzieri impegnati nelle verifiche fiscali e la loro linea gerarchica.
Queste condotte sono state costantemente riferite a quest’Ufficio, che ha avuto modo di rilevare l’impermeabilità rispetto ai tentativi in questione, nonché ha fortemente apprezzato l’estrema efficienza e capacità con cui l’indagine è stata condotta dalla Guardia di Finanza.
Del resto, il tentativo di inquinamento probatorio è altresì emerso nella sistematica propensione, da parte degli indagati, ad alterare le scritture amministrativo contabili, anche mediante il loro occultamento, la loro distruzione o la formazione ad hoc di documenti.
Ci si è trovati di fronte ad un quadro sintomatico di inquinamento delle prove, rispetto a condotte che il GIP ha considerato “gravi, reiterate e stratificate”, poste in essere da soggetti connotati da “elevata spregiudicatezza, elevata professionalità nel crimine e forte antisocialità”.
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