Viviamo un tempo contaminato da linguaggi che divorano la lingua italiana, verità drammatica

ROMA - Le minoranze storiche presenti in Italia sono da considerarsi come un incontro dialogante tra lingua, linguaggi ed etnie. L’appartenenza etnica si sviluppa nella funzione che ha l’antropologia. Nella etno – linguistica si legano i linguaggi e i contenuti della tradizione.

La lingua contaminata e i linguaggi delle minoranze storiche creano un rapporto straordinario e fondamentale, che ha come modello centrale la formazione delle etnie presenti nei tessuti territoriali.

La Lingua contaminata è chiaramente quella italiana, perché i linguaggi territoriali, ovvero quelli con una marcata derivazione etno-antropologica, restano dentro un processo di identità e di eredità le cui koiné di appartenenza e il vocabolario autoctono creano un mosaico “melogranato” (direbbe Andrea Zanzotto) che si intersica mantenendo però una completa autonomia tra lingua e linguaggi.

Il valore dei linguaggi delle minoranze storiche ha una ricchezza in un patrimonio culturale che si sottolinea come demoetnoantropologia per raggruppare o legare le istanze presenti nelle tradizioni e le varianti dei modelli storico - antropologiche. Una minoranza storica è una complessità di beni culturali che si storicizzano in un preciso messaggio antropologico.

Ha bisogno di conservare soprattutto una letteratura con la quale si difende la storie dei popoli e delle civiltà, in una comparazione tra usi e costumi che formano la tradizione. La Lingua italiana, chiaramente, è una lingua contaminata da fattori eterogenei.

I Linguaggi minoritari non vengono contaminati sia per fattori territoriali che per una compattezza unitaria identitaria. Portano una loro metafisica che si traduce in estetica del vocabolario.

Un altro fattore che ci interessa è  dato dall’incontro tra linguaggi e dialetti. Scarsamente i linguaggi minoritari hanno forme dialettali. Anzi non hanno dialetti. Hanno, piuttosto, moduli di approccio alle parole che propongono però, alla fine, lo stesso significante.

La lingua ha le sue diverse evoluzioni e interazione non solo nei confronti di lingue altre ufficiali, ma anche nei vari dialetti. Si abitano sia la lingua sia i linguaggi in una decodificazione di forme che hanno, comunque, uno sviluppo antropologico. Non solo di una antropologia rivolta al passato - memoria, bensì ad una antropologia che sappia guardare con attenzione non solo alle civiltà, ma al paesaggio.

Senza il paesaggio, come conoscenza dei tessuti territoriali e ambientali, non avrebbe senso una archeologia ricostruita sulla base di una interpretazione soltanto scientifica.

La saggezza che infonde la antropologia è la conoscenza della nostalgia, che però deve saper guardare ad una attenzione ad una archeologia del futuro. Si tratta di una “archeologia dei saperi” ricompattati.

Sul piano di una estetica della conoscenza, il dialogo tra antropologi e archeologia e arti deve essere costante. Così si misura, tra l'altro, una omogeneità di saperi modulati sulle appartenenze territoriali.

Sempre più il concetto di Tradizione assume la valenza di archetipo.

Il mito e i riti sono valutazioni filosofiche e archeo-antropos.

I linguaggi sono la base primaria nella bellezza dei paesaggi in cui la memoria resta fondamentale e il futuro prioritario. Per tentare di capire il presente la antropologia deve saper leggere i dettagli.

La Lingua è contaminata. I linguaggi contaminano. Viviamo un tempo contaminato da linguaggi che divorano la lingua italiana. La verità è drammatica ma vera.

Non si tratta di una dissonanza ma di una creatività che è nella è storicità del patrimonio linguistico inteso come bene culturale, ovvero come bene di appartenenza di un dialogo antico tra popoli e civiltà.

Soprattutto nel contesto dei Mediterranei una tale geo – metafisica del pensiero deve necessariamente guardare ad una geo – etnia dei territori. Perché è in questo incontro che la visione complessa di Popoli può intersecarsi con una geo – ontologia delle Civiltà.

di Pierfranco Bruni

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