Giuseppe Ungaretti e il "porto sepolto" che vede nella seconda edizione la prefazione di Benito Mussolini

ROMA - Una contro cultura? Una contro Storia? Le premesse ci sono. Esami di maturità 2019. Prima prova. Una ottima scelta, finalmente, dopo anni di discussioni e cifre polemiche, per le tracce, l’argomentare e gli autori sui quali si deve riflettere. Una scuola che cambia? Cambia la cultura, direi, e la scuola non può fare a meno di adeguarsi, in modo costruttivo, alle verità storiche finora taciute. Siamo, con questa proposta di riflessioni, ad un superamento della dominazione ideologica gramsciana  anche nella individuazione delle tracce per gli esami di maturità. Bisognerebbe leggerle con attenzione le proposte.

A cominciare da Ungaretti. Si fa una scelta precisa, positiva a mio avviso, individuando nella problematica del “porto sepolto” il riferimento centrale della sua poetica. Quel “porto sepolto” che ha visto nella seconda edizione del 1923 la prefazione di Benito Mussolini. Una silloge che occuperà lo scenario ungarettiano anche dopo gli anni Quaranta. Mi sembra eccezionale la poesia scelta. La metafora del “risveglio” è fondamentale. Le nuove generazioni devono cominciare ad utilizzare non solo l’interpretazione come pensiero forte ma anche la metafora che si “maschera” dietro un tutolo. Proprio qualche giorno fa avevo percorso l’Ungaretti che va dal porto alla terra promessa in occasione dei cinquant’anni dalla morte che cadranno il prossimo anno. Il vocabolario del pensiero forte ha un senso rispetto agli anni precedenti. Si pensi alla citazione di Gino Bartali.

Finalmente non più Primo Levi. Bartali che ha una formazione cristiana affronta la questione degli ebrei con una forza non più pietistica, ma coraggiosa usando uno strumento importante come lo sport, ovvero il ciclismo sottolineandolo come identità nazionale.

Così anche la Introduzione di Corrado Stajano che problematicizza il Novecento dal testo “La cultura italiana del Novecento”, a cura di, 3 voll., Roma-Bari, Laterza, 1996. Ma Stajano, documentarista che ha dedicato documentari alla Resistenza e alla Repubblica di Salò, è anche il famoso autore di “Africo. Una cronaca italiana di governanti e governati, di mafia, di potere e di lotta”, Torino, Einaudi, 1979. uno dei ultimi testi risale al 2017 dal titolo:  “Eredità”, edito da  Il Saggiatore. Di politica e di mafia è improntato il nodo di una meditazione che porta inevitabilmente a Leonardo Sciascia, attraverso il ricordo del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

È Leonardo Sciascia il chiavistello importante con il suo libro “Il giorno della civetta” che venne pubblicato nel 1961. Un vero scrittore, antesignano di una giallistica leggera che arriva sino ad Andrea Camilleri con l’invenzione di un Montalbano in cui fa gioco l’ironia e un dialetto molto discutibile. In Sciascia, soprattutto con il comandate dei Carabinieri Bellodi, si crea il vero personaggio che entra nella cronaca ma diventa soprattutto in letteratura, un personaggio nel destino di un intreccio tra sicilianità, politica e mafia. Ha avuto un grande regista, Damiano Damiani che ha tratto uno splendido film, addirittura in un’epoca fatale, nel 1968. se si nota si intravede subito in filo che è culturale oltre che scolastico. Anzi, più direttamente culturale che scolastico e pone una questione di fondo alla scuola e ai docenti.

Cercate di dire le verità quando raccontate e non la verità che voi pensate che sia verità, sembra cogliere da queste tracce, tra la provocazione e la meditazione. Ungaretti e Sciascia raccontano la contro storia e la contro letteratura. Mi pare così ovvio. Entrambi sono una identità di culture diverse e di formazioni diverse. Ma fanno riflettere su un pensiero forte che tuttora manca nella cultura (anche scolastica) di questi anni. Un porto sepolto come modello della poetica del Novecento. La metafora della civetta, nel segno profetico, come esempio di una letteratura alta. L’italianità al centro della cultura nazionale.

di Pierfranco Bruni

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