Un omicidio per riflettere sulla nostra macchina perfetta. Possiamo desiderare la morte altrui?

COMO - Un meccanismo che ci appartiene. Una settimana, in un paese limitrofo al mio, c'è stato un terribile fatto di cronaca. Non voglio scendere nei particolari e non è assolutamente mio interesse parlarne. Quello che ci interessa sapere è che c'è stato un omicidio: l'omicida ha 47 anni ed è nato a poca distanza da casa mia. Il ragazzo ucciso ne aveva 25 ed è del paese dove è avvenuto il fatto di sangue.

Il motivo: una motivazione assolutamente futile. Un banale litigio sfociato in tragedia. Quello che vorrei portare alla vostra attenzione ruota intorno a questo fatto come a moltissimi altri. Riguarda la reazione delle persone lontane dall'accaduto, le solite brave persone.

Io ho avuto la fortuna (sì, la fortuna), di potere entrare in  carcere e di parlare sia con gli operatori sia con i detenuti.

La fortuna consiste nel fatto di entrare direttamente a contatto con la sofferenza e capire e conoscere cose che, chi sta fuori, non riesce mai a comprendere del tutto.

Quando succede un brutto evento come questo la mia reazione è sempre e solo una: il dispiacere.

Quello più mero e più semplice. Per la vittima, per la famiglia della vittima; ma anche per chi si è reso responsabile di un atto criminoso e per chi gli sta accanto e lo ama.

In questo caso specifico conosco molto bene i genitori del colpevole e ho continuato a pensare a come potessero stare. Proprio perché li conosco, li so onesti e perbene.

Leggendo in rete i vari commenti dei saputelli e di tutte le persone così perfette da fare orrore, ho sperato solo che i genitori non avessero mai a leggere queste brutalità. I vari autori, mentre si credono tanto perfetti e si dicono inorriditi da chi uccide, non si rendono nemmeno conto di quanto male sappiano fare loro.

Innanzitutto odio il nostro sistema che permette a chiunque di esprimere la propria opinione, senza che questi abbiano alcun titolo per farlo. Questo comportamento è deleterio anche nei confronti della vittima.

Ci sono i poliziotti, i giudici e i magistrati che devono fare il loro lavoro, senza che ci sia tutta questa attenzione mediatica, morbosa.

La seconda cosa è che, fateci caso, ognuno di noi, nella sua reazione, si schiera immediatamente dalla parte della vittima. Perché? Perché il nostro essere non ci riconosce mai come persone cattive.

Quando un altro commette un crimine la nostra reazione è di prenderne le distanze, perché lui è il mostro e noi i santi.

È un atteggiamento di difesa assolutamente naturale, comprensibile, se vogliamo, quanto istintivo.

Però, dal momento che siamo esseri pensanti, superato questo momento dove ci teniamo a mettere i puntini sulle i, si dovrebbe andare oltre. Il nostro pensiero dovrebbe ricevere degli impulsi che comunque possediamo, che sono quelli della comprensione, della compassione.

Ognuno di noi è in grado di agire in bene e in male. Ad ognuno di noi può capitare un momento in cui non possiamo sapere come reagiremo. Ognuno di noi sa uccidere.

Ad ogni persona è accaduto di desiderare la morte di un altro, oppure di avere pensato come vendicarsi di un torto subito. È un meccanismo che ci appartiene, che sta bene risposto nella nostra macchina perfetta; che possiamo nascondere quanto vogliamo, ma che esiste.

Queste riflessioni, dove ho voluto spiegare in termini davvero semplicistici la nostra grandiosa psiche, anche perché non ho nessun titolo in merito, se non quello di una persona che scrive e che spesso è chiamata in causa come opinionista; spero sia d'aiuto per comprendere un poco di più una piccola parte del nostro comportamento.

E che sia d'aiuto a quelle persone che, in questi giorni, mi sono davvero parsi paladini partiti male in arnese.

di Miriam Ballerini

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