Pierfranco Bruni e la storia tra Primo Levi e Cesare Pavese

ROMA - Cesare  Pavese si rifiutò di pubblicare il libro di Primo Levi (di cui ricorre il centenario della nascita) “Se questo è un uomo” all’interno della collana di narrativa, poiché lo riteneva un libro di cronaca. Una mera cronaca senza letteratura. Non lo ha mai considerato un romanzo. Soltanto dopo la morte di Pavese venne pubblicato dalla Einaudi. Discutiamo dunque di letteratura del Novecento. Nel segno non solo della rilettura di quella storia che ci è stata imposta dai testi scolastici e universitari. Testi completamente affidati a modelli ideologici. Di discussione nel corso di questi anni ne abbiamo fatte tante, ma ci sono responsabilità sia istituzionali che di metodologia applicata alla pedagogia. La vera storia della letteratura italiana del Novecento non è quella che si fa studiare nei libri di testoscuola superiore e università. È una letteratura “gestita” politicamente. Più volte siamo entrati nel merito di ciò. Certo. Ma leggete un po’ i contemporanei: da Tondelli a Sanguineti (per risalire indietro e non ridiscendere) dall’autore di “Gomorra” a tutta una letteratura in odore di sinistra e di sociologismo.

Nota dolente continuare a considerare grande scrittore Primo Levi

Dico questo perché? Perché si è antologizzati e “modulati” soltanto se si risponde ad un canovaccio che è quello di un determinismo marxista e gramsciano o milaniano o a un canovaccio ormai diffuso, che è quello della letteratura cattolico-comunista. Una non letteratura. Sfido a trovare pagine su Giuseppe Berto, su Marcello Gallian, su Francesco Grisi, Diego Fabbri, Antonio Barolini, Ignazio Silone che non sia il “Fontamara”, facendolo poi morire, in alcuni testi scolastici, nel 1977 mentre muore un anno dopo, con un libro qualificante per tutta la sua opera qual è “Severina” edito postumo, sul quale lo scrittore ci ha lavorato sino agli ultimi giorni della sua vita, agosto 1978. Poi, la nota dolente è quella di continuare a considerare “grande” scrittore Primo Levi. Pagine di testimonianza e nient’altro. I suoi scritti non superato la testimonianza umana ma la letteratura ha una griglia simbolica e di “pensiero” di altra natura. Già il caso Moravia è ben altra faccenda. Un narratore e non uno scrittore. Molta subordinazione agli schemi calviniani. Un Italo Calvino che diventa scrittore in “Palamar” in “Se un viaggiatore…”. E prima? Ma niente di nuovo dopo Pavese. Pavese è la centralità di un Novecento di mezzo con una straordinaria valenza poetica e letteraria, ma non certamente quel Pavese antologizzato nei testi scolastici. L’antirealista Pavese è soprattutto lo scrittore che non accettò la Resistenza né come modello politico e tanto meno come espressione letteraria. Pavese è il mito e l’alchimia nella storia ma è anche lo scrittore che condanna chiaramente il comunismo e i risvolti di una Resistenza assassina (“Dialoghi con Leucò” e la “Casa in collina” sono il manifesto dell’antiresistenza. Semplice constatare ciò. Basta leggerlo con serenità e non antologizzarlo con giustificazioni banali.

Lezioni sovietiche di un realismo come vera forma di arte

Ma se Pavese è lo scrittore di mezzo del Novecento, che sostanzialmente spacca le visioni ideologiche, Corrado Alvaro è lo scrittore delle “memorie sommerse” che fa iniziare il suo percorso letterario, proprio nei primi anni del Novecento, con “L’uomo nel labirinto”. Siamo a livelli alti e non nella mediocre cronaca di un Primo Levi o nella superbia visione stilistica di Italo Calvino, che tutto deve al Pavese della coerenza, dello stile, dell’autenticità.  Alvaro e Pavese avevano dietro dimensioni robuste: da una parte una visione musiliana e kafkiana e dall’altra la lezione eliadiana e vichiana ben ancorate alla tradizione letteraria e non ideologica. Bisogna rivendicare la letteratura vera e spogliarla dalla frenesia di un gramscismo che proviene da lezioni sovietiche di un realismo come vera forma di arte. Pavese è distante da ciò, come lo è Alvaro, come lo è Berto, come lo sono i contemporanei alti: Sgorlon e Bevilacqua. Qual può essere il ragionamento applicato nel centralizzare testimoni di scrittura come Primo Levi e non dare la giusta considerazione a veri scrittori come Giuseppe Berto? Mi devono spiegare perché si focalizza l’attenzione, il più delle volte, sulle contraddizioni di Sartre defilando in un paracadute Camus. Ci vogliono ragionamenti critici e non teatralizzazioni consociative. Ma i cattolici si sono resi conto che la storia della letteratura dimentica Diego Fabbri, Mario Pomilio, Francesco Grisi, Ignazio Silone del “Celestino V”, e più avanti Saviane, Salvalaggio, Battaglia? Si ha il coraggio di leggere e proporre Giuseppe Berto (l’autore de “Il male oscuro” e di “Anonimo veneziano” oltre che della “Gloria”) senza lasciarsi condizionare dal suo libro “Guerra in camicia nera”? Non ci credo.  Si ha il coraggio di proporre Pavese come egli stesso ha scritto nella pagina introduttiva a “Dialoghi con Leucò”, ovvero di non essere uno scrittore realista?

Generazioni di maestri (pochi) e di mediocri (molti)

Si ha il coraggio di penetrare Calvino ponendosi davanti ad una lezione di letteratura marxista anche quando cerca di introdurci nella fiaba o nelle sue interpretazioni “americane”, che non offrono alcuna originalità e innovazione dopo le lezioni critiche debenettiane?  Ci vuole coraggio e capacità anche nel tentare di sfidare luoghi conformati e conformistici. Primo Levi. Non mi dice nulla. E consiglio di non leggerlo. Continuo a rileggere Giuseppe Berto. Non consiglio Italo Calvino perché è solo retorica letteraria. Rileggo i maestri come Pavese e Alvaro. Si può andare oltre. Ma prima bisogna lavorare epoche sugli scrittori e sui testi degli scrittori e non su indicazioni di terza mano. Bisogna spenderci una vita per potere essere certi di un pensiero e attraversare generazioni di maestri (pochi) e di mediocri (molti). Io non smetto di tenere tra le mie mani il Camus de “Lo straniero” e di cestinare il Sartre de “La nausea”. Convinto sempre che la confessione può diventare un genere letterario (Maria Zambrano), ma nella confessione ci deve essere il mistero dell’arte. Bisogna ritornare alla letteratura vera, alla letteratura degli scrittori e non dei testimoni o di testi inclassificabili sono perché indicati dal potere culturale di sinistra. Perché tanta enfasi per Primo Levi? Pavese aveva perfettamente ragione.

di Pierfranco Bruni

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