Coronavirus. Gestione dello stress per le persone confinate in casa e gli operatori sanitari. Covid-19

ROMA - Gestione dello stress in epoca di Covid-19. Uno studio dell'Istituto superiore della sanità pubblicato da poche ore. Lo stress è una reazione a eventi eccezionali che comporta azioni di ri-adattamento all’ambiente e pertanto ha un forte impatto sull’equilibrio mentale e fisico. Le reazioni associate allo stress si accompagnano spesso a spossatezza fisica, tremori, tachicardia, pesantezza mentale, difficoltà a concentrarsi, nervosismo, ansia e paura, fino a sfociare nel panico.

L’esposizione prolungata a stimoli stressanti rappresenta un fattore potenziale di rischio per molte patologie, incluse quelle psichiatriche o cardiovascolari. Per questa ragione, prima che questo stato si cronicizzi in una forma psicopatologica invalidante, è importante mettere in atto azioni strategiche che possano ripristinare una condizione di equilibrio psicofisico e che possano darci la sensazione di aver recuperato il ‘controllo’ della situazione.

In un’emergenza come quella che stiamo vivendo in seguito alla pandemia di Coronavirus, l’esposizione allo stress riguarda sia le famiglie e le persone confinate in casa sia gli operatori sanitari chiamati a fronteggiare l’impatto dell’epidemia.

Stress che riguarda gli operatori sanitari chiamati a fronteggiare l’impatto dell’epidemia

Da quando è cominciata l’emergenza sanitaria correlata alla diffusione del Covid-19 i professionisti sanitari sono impegnati in prima linea a fronteggiare l’epidemia nei vari setting del servizio sanitario, esposti al rischio di infezione e a un sovraccarico emotivo: carenza di adeguati dispositivi di protezione individuale, turni di lavoro incalzanti, fatica fisica, riduzione delle risorse umane e in alcuni casi precarietà organizzativa. A questo si aggiungono situazioni determinate dalla forte pressione a cui è sottoposto il servizio sanitario, che possono contribuire ad appesantire ulteriormente il vissuto emotivo dei professionisti: essere chiamati a intervenire in discipline diverse da quelle di appartenenza; la possibilità, per i medici neolaureati o gli specializzandi ancora in formazione, di trovarsi a fronteggiare condizioni critiche che richiederebbero maggiore esperienza; l’invito a continuare a lavorare anche se si è stati a contatto con pazienti affetti da Coronavirus e permanga il timore del contagio; le cure e il sostegno prestati a domicilio dai medici di medicina generale agli assistiti con sintomi più lievi.

Quelli sopra riportati - spiegano dall'Iss - sono solo alcuni esempi per evidenziare che in questo momento tutti gli operatori sanitari, e coloro che sono coinvolti nella rete di gestione dell’emergenza, sia in setting di ricovero che di comunità (gli operatori sanitari degli ospedali, il personale di pronto soccorso, gli operatori dei dipartimenti di prevenzione e dei servizi epidemiologici, delle ambulanze, delle Residenze sanitarie assistite, Rsa, ma anche i volontari della protezione civile), sono esposti a condizioni organizzative, relazionali, psicologiche e riguardanti la sicurezza che rappresentano una fonte di stress.

La situazione è ben fotografata dall’articolo dei medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, pubblicato il 21 marzo 2020 dal Nejm Catalyst Innovations in Care Delivery e dalla lettera della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO) pubblicata dal Bmj il 26 marzo 2020.

La letteratura scientifica dedicata allo stress lavoro-correlato ha ampiamente confermato come il settore sanitario sia di per sé caratterizzato dalla presenza di fattori di rischio psicosociale strettamente legati all’organizzazione lavorativa, alla sicurezza e alla salute degli operatori: turni, reperibilità, gestione di emergenze/urgenze, carenza di personale; confronto quotidiano con situazioni di estrema sofferenza; potenziale rischio di episodi di aggressione verbale e/o fisica. Fattori che in questo momento di emergenza sono grandemente amplificati, a partire da quelli relativi alla sicurezza degli operatori, cioè alle misure di prevenzione e protezione.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ricorda che il primo passo per tutelare la salute del personale sanitario durante un’epidemia è l’attuazione di tutte le misure necessarie a proteggerne la sicurezza occupazionale. Il datore di lavoro e i dirigenti delle strutture sanitarie devono garantire l’adozione delle misure preventive e protettive necessarie rendendo disponibili forniture adeguate dei dispositivi di protezione individuale in quantità sufficiente per gli operatori sanitari o altro personale che si occupi di pazienti sospetti o confermati, consultando gli operatori sanitari sugli aspetti della sicurezza e della salute sul lavoro nella propria attività quotidiana. Va tuttavia considerato che nel corso di un’epidemia, anche quando le misure preventive e protettive siano adeguate, il personale sanitario resta esposto a un alto livello di stress psicologico oltre che fisico: timore di contrarre l’infezione e di trasmetterla ai propri familiari, elevata mortalità, sofferenza per la perdita di pazienti e colleghi, separazione spesso prolungata dalla famiglia, cambiamenti nelle pratiche e procedure di lavoro, necessità di fornire un maggiore supporto emotivo ai pazienti in isolamento, fatica fisica legata all’utilizzo dei dispositivi di protezione.

Da alcuni studi si rileva che, rispetto ad altre situazioni di emergenza sanitaria come per esempio le catastrofi naturali, i fattori di rischio che possono contribuire ad accrescere lo stress psicofisico degli operatori durante un’epidemia sono proprio l’isolamento sociale, dovuto alle misure di distanziamento e quarantena o in alcuni casi alla discriminazione, e l’assenza del sostegno familiare a causa del pericolo di contagio. La paura e la preoccupazione di contagio per sé e per i propri familiari, ancor più in presenza di figli piccoli, possono condurre l’operatore sanitario a un vero e proprio auto-isolamento. Il carico di lavoro aumentato riduce anche il confronto con i colleghi e il rapporto con i pazienti cambia radicalmente. È frequente che emergano emozioni di rabbia, ostilità, frustrazione, senso di impotenza e che si manifestino sintomi depressivi e stati d’ansia con somatizzazioni, insonnia, aumento del consumo di caffeina e di tabacco.

Studi sui rischi psicosociali dello stress tra il personale sanitario durante le epidemie di Sars ed Ebola, durante la pandemia influenzale A/H1N1 e durante la gestione dell’epidemia Covid-19 in Cina hanno rilevato la comparsa di sintomi associabili a stress post traumatico.

Uno studio trasversale condotto in Cina su 1257 operatori sanitari impegnati nei presidi coinvolti nella gestione di pazienti con Covid-19, ha valutato la presenza di sintomi depressivi e ansiosi evidenziando che le donne, il personale infermieristico e coloro che lavorano nelle zone con maggiore concentrazione di casi (che sono più direttamente coinvolti nell’emergenza) hanno dei sintomi più intensi e possono pertanto necessitare di supporto o di interventi psicologici.

L’Inter-Agency standing committee (Iasc) ha divulgato una nota informativa che riassume le considerazioni chiave sulla salute mentale e sul supporto psicosociale (Mhpss) in relazione alla pandemia da Coronavirus-19. Il documento fornisce indicazioni sui comportamenti che il personale sanitario può adottare per prevenire e ridurre lo stress legato alla particolare situazione che si trova a fronteggiare. Il 6 marzo 2020 anche l’Oms ha diffuso un documento contenente alcune raccomandazioni per favorire la gestione dello stress associato all’emergenza sanitaria globale da Covid-19 che contiene alcuni messaggi rivolti agli operatori sanitari.

Alcune indicazioni sulla prevenzione dello stress emotivo degli operatori sanitari legato alla situazione di emergenza da Covid-19.

Indicazioni per le Aziende sanitarie e i Dirigenti delle strutture sanitarie.

Garantire una buona comunicazione e fornire al personale aggiornamenti precisi e accurati su ciò che sta accadendo. Questo può contribuire a mitigare le preoccupazioni degli operatori legate all’incertezza e far percepire un senso di controllo.
Riferire feedback positivi utili a rafforzare il valore e l’importanza del ruolo svolto
Promuovere il lavoro in team. Il Buddy system, per esempio, è un metodo che prevede che due colleghi coinvolti nell’emergenza lavorino affiancati, divenendo responsabili della sicurezza personale l’uno dell’altro e sostenendosi nella reciproca capacità di affrontare circostanze avverse.
Facilitare l’accesso ai servizi di supporto psicologico, assicurandosi che il personale sia a conoscenza di come e dove accedervi, incluso il supporto telefonico o altre opzioni di servizio a distanza, se disponibili.
In contesti a massiccia domanda assistenziale l’ingaggio professionale degli operatori direttamente coinvolti nell’emergenza è tale da non lasciare spazio all’elaborazione di una risposta psicologica o alla formulazione di una richiesta d’aiuto. Per questo è fondamentale che il datore di lavoro faciliti questo processo. Numerose Aziende sanitarie hanno già fatto passi concreti in questa direzione rendendo disponibile un servizio di supporto psicologico telefonico (o via skype), o attivando veri e propri ambulatori specialistici di salute mentale dedicati al sostegno dei professionisti sanitari coinvolti nell’emergenza (Ausl Romagna, Azienda sanitaria di Trento, Azienda ospedaliera universitaria pisana, AslTo3, Asl di Viterbo, Asl Umbria 2 per citarne solo alcune) e promuovendo la comunicazione tra operatori sanitari e cittadini tramite il web (Ausl Piacenza, Asl Bergamo…).

Indicazioni per gli operatori sanitari.

Organizzare, per quanto possibile, il lavoro mantenendo un monte ore ragionevole e facendo delle pause. Durante la fase acuta dell’emergenza è fondamentale garantirsi degli spazi di tregua per riposare e riflettere sull’esperienza che si sta vivendo. Gestire lo stress e occuparsi della propria salute mentale è importante per mantenere la salute fisica.
Utilizzare strategie individuali di gestione delle difficoltà (coping) rivelatesi efficaci in altri contesti può aiutare a superare anche una situazione completamente nuova e senza precedenti come l’attuale emergenza da Covid-19.
Confrontarsi con i colleghi è fondamentale sia per coordinare le attività, sia per condividere la percezione personale e trovare un supporto reciproco, rispettando i diversi modi di reagire alla situazione critica. Esplicitare un riconoscimento professionale nei confronti di un collega può rafforzare la motivazione e moderare lo stress.
Cercare di mantenere stili di vita salutari, mangiando e idratandosi a sufficienza e in modo sano per essere in condizioni di affrontare la pressione che inevitabilmente viene accumulata. Ridurre l’assunzione di caffeina, nicotina e alcol. Concedersi sonno e riposo adeguati a ricaricarsi, fare un po’ di esercizio fisico.
La pressione, lo stress e i sentimenti associati, possono far emergere sensazioni di impotenza e inadeguatezza verso il proprio lavoro. È importante, quindi, riconoscere ciò che si è effettivamente in grado di fare per aiutare gli altri, valorizzando anche i piccoli risultati positivi; riflettere su ciò che è andato bene e accettare ciò che non è andato secondo le aspettative, riconoscendo i limiti legati alle circostanze. È anche importante stare in contatto con gli stati d’animo personali, essere consapevoli del carico emotivo, imparando a riconoscere sintomi fisici e psicologici secondari allo stress. Prendersi cura di sé e incoraggiare i colleghi a farlo è il modo migliore per continuare a essere disponibili con i pazienti.
Rimanere in contatto con gli amici, la famiglia o altre persone di cui ci si fida per parlare e ricevere sostegno, anche a distanza.
Conclusioni
Gli operatori sanitari, coinvolti nella rete di gestione dell’emergenza, impegnati sia in setting clinici che di comunità, sono i pilastri su cui si fonda la risposta all’epidemia da Sars-CoV-2. È quindi fondamentale investire quanto più possibile per proteggerne la salute fisica e mentale. Implementare le risorse di supporto psicologico per sostenere gli operatori che quotidianamente si confrontano con l’emergenza, garantendole anche nel periodo successivo all’emergenza pandemica, può contribuire a potenziare le abilità di adattamento e a promuovere l’empowerment personale.

Stress che riguarda le famiglie e le persone confinate in casa

In un’emergenza come quella che stiamo vivendo in seguito alla pandemia di Coronavirus-19, la paura della situazione nuova, inattesa e potenzialmente dannosa per la salute nostra e per quella dei nostri famigliari e la necessità di una condizione di isolamento sociale comportano una inevitabile sensazione di perdita di controllo, innescando reazioni di stress. D’altra parte ottenere informazioni chiare e seguire le raccomandazioni può aiutare a recuperare il controllo sulle circostanze della nostra vita, aumentando la nostra capacità di reagire positivamente, e riducendo l’ansia e l’angoscia che si accompagnano all’incertezza di una situazione in continua evoluzione.

Il 6 marzo 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha divulgato alcuni consigli da seguire per gestire lo stress associato alla emergenza sanitaria globale del Covid-19 che ha sintetizzato in due infografiche. A partire da quei documenti ecco un approfondimento sui comportamenti consigliati per gestire lo stress e mitigare l’ansia, rivolto alle persone confinate in casa e in particolare ai genitori di bambini da zero a tre anni.

Che cosa possiamo fare per evitare che la paura si trasformi in angoscia?

Di fronte al pericolo la paura è nostra amica: nel corso della propria storia, senza la paura la specie umana probabilmente si sarebbe estinta, sopraffatta dal pericolo. Ma se la paura diventa eccessiva ci rende vulnerabili. Seguire i consigli che ci vengono dati è un modo per riconoscere il ruolo della paura, senza farsi sopraffare. Tristezza, angoscia, perfino panico, sono risposte emotive comprensibili, ma che scaturiscono da valutazioni poco realistiche. I pensieri catastrofici spesso ci assalgono quando siamo più vulnerabili, come nei momenti di inattività o durante la notte. Possiamo considerarli una sorta di “bugie” prodotte dal nostro cervello, di fronte alle quali non sempre la nostra ragione riesce ad avere la meglio. Quando una minaccia è visibile, d’istinto siamo portati a scappare, e più ci allontaniamo più la paura diminuisce. In questo caso la minaccia è invisibile e dunque fuggire è impossibile: non sapremmo in quale direzione andare. Non ci rimane che allontanare il più possibile la minaccia da noi. In che modo? Mettendo in atto quei comportamenti virtuosi che sentiamo ripetere ogni giorno: stare il più possibile in casa, mantenere una distanza di sicurezza dagli altri, lavarsi spesso le mani senza temere di esagerare, limitare i contatti fisici anche tra familiari. Più mettiamo in atto comportamenti di questo tipo, più ci sentiamo protetti, rassicurati, meno ansiosi.

Noi siamo quello che pensiamo. Le nostre reazioni emotive, e quindi il nostro stato di benessere o malessere, dipendono anche dalla nostra percezione e immaginazione. È facile capire quindi che, per stare bene, dobbiamo dirottare il pensiero su cose che ci diano piacere, distrarre la mente impegnandoci in attività concrete che ci appassionano: leggere, parlare, cucinare, curare le piante, occuparci degli animali domestici, videochiamare parenti e amici.

Attenzione all’autosuggestione

Quando si è in uno stato di allerta e magari anche in una condizione di deprivazione sensoriale per noia o mancanza di idee, potremmo essere più soggetti a ingigantire le normali sensazioni e a metter in atto reazioni sproporzionate e inopportune. La difficoltà è capire se stiamo esagerando. Proviamo allora a chiederci che cosa penseremmo se quella sensazione o quel comportamento venisse espresso da un nostro famigliare (moglie, marito, figlio). Di solito questo re-indirizzamento ci pone in una posizione di maggiore obiettività e maggiore razionalità. In questa posizione, potremo immaginare quale nostro intervento sarebbe efficace nel rassicurare la persona cara. E questo potrebbe aiutarci a trovare una strada per auto-rassicurarci e abbassare i livelli di ansia.

Devo stare in casa, come faccio a fare passare il tempo?

Riflettiamo che oggi dobbiamo restare in casa, ma avendo comunque il mondo di fuori a portata di mano, con la possibilità di parlare con chi vogliamo, di leggere ciò che ci interessa, di guardare ciò che ci piace, persino andare per negozi virtuali a fare shopping. Insomma, tutte le numerose opzioni messe a disposizione dalla nostra tecnologia. Ma ci sono anche altre possibilità: riscoprire il piacere del clima familiare, reimpostare la routine quotidiana su ritmi più lenti e piacevoli, condividere attività, rispolverare giochi di quando eravamo più poveri di tecnologia.

Per chi ha la fortuna di possedere un giardino o un terrazzo con piante, fare giardinaggio o ridisegnare lo spazio ha un forte potere rilassante. Può bastare anche il davanzale di una finestra per rilassarsi coltivando piante aromatiche da usare in cucina. Anche avere animali domestici a cui dedicarsi, può essere d’aiuto: la relazione con un animale è spesso appagante tanto quanto la relazione con altri esseri umani. Infine, continuare a svolgere attività motoria anche in casa è importante per mantenere la salute, sia fisica, sia mentale.

Suggerimenti per mamma e papà con neonati e bimbi piccoli: “Se hai cura del tuo benessere psico-fisico, hai contemporaneamente cura del tuo bambino”.

In questo periodo di isolamento forzato, anche alle mamme e ai papà che hanno neonati e bambini molto piccoli è stato chiesto di cambiare il proprio stile di vita e di restare a casa insieme ai più piccoli. È un tempo che viene regalato, del quale si può approfittare per godere della presenza dei nostri cari e scoprirli in una quotidianità inusuale.

Può accadere anche che questo periodo riveli la nostra vulnerabilità e tante paure e ansie che sono tipiche di una neo mamma o neo papà emergano in modo esagerato e incontrollato. Potrebbe capitare di sentirsi tristi, stressati o confusi o potrebbe capitare di avere paura di non riuscire a proteggere i propri piccoli. Ecco allora qualche suggerimento per le mamme e i papà con un neonato:

mettiamo il bambino sulla pancia e ascoltiamo una bella musica rilassante e mentre coccoliamo il nostro bimbo cerchiamo di respirare lentamente: ci rilasseremo entrambi
cerchiamo di fare lunghe docce rilassanti ed esercizi di respirazione, soprattutto la sera prima di andare a dormire
prendiamoci cinque minuti, chiudiamo gli occhi e concediamoci una vacanza mentale dove vogliamo
se possibile trascorriamo qualche momento all’aria aperta con il bimbo
prolunghiamo il momento del cambio pannolino con un piacevole massaggio al nostro bambino
non abbiamo paura di non trovare attività stimolanti per i nostri figli: la relazione con noi è ciò che li appaga di più
cerchiamo di prenderci piccoli spazi per noi quando il bambino dorme: leggiamo un buon libro, occupiamoci di noi, cerchiamo di dormire a nostra volta o anche solo di riposare
abbiamo cura del nostro aspetto: vestiamoci bene, dedichiamo del tempo al trucco
ascoltiamo buona musica
balliamo con in braccio il nostro bimbo
cerchiamo di seguire una corretta alimentazione, con cibi naturali e freschi
non trascuriamo le nostre esigenze: nostro figlio è importante, ma prima ci siamo noi. Se non stiamo bene, il piccolo potrebbe soffrirne e noi sentirci peggio
utilizziamo registrazioni con i suoni della natura, da ascoltare mentre facciamo addormentare il bambino
non sentiamoci colpevoli dei sentimenti di inadeguatezza che potremmo provare, i pensieri negativi si possono cambiare e non ci impediranno di essere una brava madre o un bravo papà
lasciamo al nostro partner momenti esclusivi col bimbo
se abbiamo delle preoccupazioni cerchiamo di limitarle a un solo momento nell’arco della giornata: quindici minuti quando il bimbo dorme. Può aiutare prenderne nota per iscritto.
ricordiamoci che questa situazione d’emergenza è passeggera
manteniamo un pensiero basato sulla realtà
non prendiamo qualsiasi sintomo fisico come un segnale di una malattia più grave
asserviamo i nostri bimbi per scoprire quali progressi stanno facendo.

Ed ecco qualche suggerimento per mamme e papà con un bimbo di 1-3 anni:

cerchiamo di dare una struttura regolare alla giornata
se il bimbo gattona o ha iniziato a camminare favoriamo queste attività estremamente gratificanti per lui
se possibile, passiamo del tempo insieme all’aria aperta
alterniamo attività movimentate (come lotta con i cuscini, ginnastica per terra, ballare insieme) ad attività più rilassanti (un disegno, le costruzioni, la lettura di fiabe), a momenti in cui non offriamo alcuna stimolazione ma incoraggiamo la sua autonomia
facciamo insieme biscotti e torte o un lavoretto: lasciamo che ci aiuti in semplici attività
osserviamo il nostro piccolo, cercando di capire quale attività predilige
parlagliamogli tanto, insegnandogli nuove parole
coinvolgiamo il nostro partner in attività col bimbo
facciamo chiamate e videochiamate con parenti e amici.
Se ci sentiamo comunque tristi e scoraggiati e pensiamo di avere bisogno di aiuto, non esitiamo a chiederlo, rivolgendoci al medico curante e al pediatra.

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