Coronavirus. Lavorare sulla gestione della paura nell’operatività del soccorso in piena emergenza da Covid-19

MORTARA - Questo articolo nasce dalla mia esperienza di counselor filosofico con il Comitato di Croce Rossa della mia città: insieme con alcuni volontari abbiamo lavorato sulla gestione della paura nell’operatività del soccorso durante l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19, in un'area dell’Italia, la Lombardia, nella quale la gravità e i numeri del contagio hanno assunto dimensioni drammatiche, esponendo a gravi rischi tutta la popolazione e in particolare gli operatori sanitari in ambito ospedaliero e socio-assistenziale.

L’evento della paura. La paura non può essere senza speranza, né la speranza senza paura.” Baruch Spinoza (filosofo olandese, 1632-1677).

“Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo” Immanuel Kant (filosofo tedesco, 1724-1804)
La paura è un’emozione che accompagna la nostra esperienza di vita, determina le nostre azioni e condiziona il nostro comportamento. Cosa significa avere paura? Dal punto di vista neuro-fisiologico la capacità di provare paura risiede nell’Amigdala che è un sistema cerebrale complesso in cui i collegamenti sinaptici sono predisposti dalla natura e dall’esperienza a rispondere ai pericoli: le cellule dell’Amigdala ricevono input dal mondo sensoriale e si attivano per lo stimolo di pericolo, le modalità di risposta migliorano attraverso l’elaborazione e l’apprendimento (evoluzione).

Dunque avere paura significa imparare a gestire il cambiamento e ad organizzare le condizioni di adattabilità per la sopravvivenza. Dal punto di vista psicologico e sociale la paura non è, come si potrebbe pensare, un’emozione negativa, ma una preziosa risorsa: consente una maggiore concentrazione sulla cura alla vita e sulla soglia di attenzione. Non dobbiamo vergognarci di provare paura, ma anche non dobbiamo permettere alla paura di trasformarsi in panico e psicosi. Stiamo vivendo una crisi eccezionale, un evento imprevedibile che ci costringe alla consapevolezza del limite, della vulnerabilità e della sospensione del nostro tempo e di tutto ciò che fino a poche settimane fa, era la nostra concretezza e la nostra progettualità, il nostro futuro. Ognuno di noi spera, lotta, lavora, in un orizzonte costellato di difficoltà, viviamo costantemente esposti in situazioni che generano paura, ma anche capacità di affrontare e superare ciò che ci spaventa.

La nostra paura, oggi, è esasperante perché riguarda tutti, perché nessuno può veramente sentirsi al sicuro, perché riguarda una malattia per ora incurabile, aggressiva, dilagante, invasiva, perché riguarda la morte e ci costringe a pensarla e a vederla agire senza limite. Avere paura, oggi, significa viverla e sentirla addosso a noi concretamente: non è l’ennesima guerra che si combatte lontano dalla nostra realtà, non è un terremoto, una catastrofe nucleare, che si abbatte in qualche area del mondo che non ci riguarda, se non per portare aiuto e solidarietà in luoghi distanti dalla nostra vita, che ci aspetta accogliente al ritorno con tutti i nostri affetti sani e salvi. Tutti noi oggi abbiamo bisogno di aiuto, chiediamo e offriamo aiuto nella misura delle nostre possibilità, scegliamo di portare il nostro aiuto nella consapevolezza che non è un’esercitazione, non è simulazione, non è teoria e il tempo non lo decidiamo noi, non conosciamo il percorso, non decidiamo il termine. Una scelta, proprio perché è tale, implica i concetti di libertà e responsabilità ed è in relazione con la paura: procede insieme al senso del rischio che sentiamo forte per noi e per i nostri cari.

Così è anche la scelta dei volontari di Croce Rossa, che scelgono di aiutare e soccorrere, ricostruire e proteggere per tutelare la salute che è il principio supremo a cui CRI si ispira; gli operatori CRI hanno la responsabilità dell’aiuto tutelando se stessi e gli altri, un onere particolarmente gravoso in questo momento, che spesso li pone di fronte al bivio della protezione personale e familiare piuttosto che della comunità: perché la scelta del volontario CRI non è individuale, ma condivisa coi propri cari, la paura diventa il parametro dominante attraverso il quale si decide la partecipazione e la disponibilità operativa. Di fronte ad un’emergenza di tale impatto tutti subiscono pressioni, stress, restrizioni, imposizioni, blocchi, la gravità della situazione si manifesta ogni giorno, ogni ora, nella comunicazione diffusa su tutti i media: leggiamo notizie terribili e vediamo immagini altrettanto devastanti, il nostro mondo e le nostre vite sono sconvolte.

Abbiamo paura, tanta, ma dobbiamo andare avanti, tutti, non possiamo restare paralizzati e aspettare; allora trasformiamo la paura in una possibile risorsa che ci consente di elevare ad un altissimo livello la soglia della nostra attenzione creando uno spazio in cui ogni atto viene pensato ed eseguito con la massima cura e scrupolosità, ogni precauzione viene rafforzata, ogni prescrizione viene osservata con la massima serietà e impegno, perché riguarda tutti e CI riguarda. Impariamo ad essere egoisti NON egocentrici (l’egocentrismo rivolge attenzione solo all’io restando isolato ed indifferente al mondo) impariamo, cioè, ad aver cura e ascolto per noi stessi così da poter ascoltare ed essere d’aiuto agli altri. Prendiamoci un tempo per riflettere e condividere le nostre paure con gli altri, non isoliamoci, perché il confronto e il dialogo sono sempre opportunità fondamentali per riuscire a scorgere nuove prospettive, efficaci soluzioni: impariamo la reciprocità, impariamo ad ascoltare e ad ascoltarCI.

All’inizio di queste mie riflessioni ho citato un filosofo che amo molto, nel suo imperativo categorico Kant ci esorta a considerare l’individuo come parte di un indissolubile tutto che è l’umanità: dobbiamo sempre avere la consapevolezza che il pensiero e l’azione di ogni singolo uomo si riflettono su tutti, riguardano tutti, così come le conseguenze. Cosa posso conoscere? Cosa posso fare? Cosa posso sperare? Sono le domande che strutturano il pensiero kantiano e riguardano l’uomo e il senso della vita, ora e sempre: CI riguardano. Ovunque troviamo scritto, ci viene detto, lo ripetiamo tutti, come un mantra “andrà tutto bene”, ma affinché davvero possa andare tutto bene, affinché nell’evento traumatico della paura si affacci di nuovo la speranza, come scrisse Spinoza, in questo tempo sospeso tra la sopravvivenza e il sacrificio, tra il bisogno di cura e la possibilità di essere curati, ognuno di noi deve diventare una persona attiva del progetto, ognuno di noi deve lavorare e impegnarsi perché ciò avvenga.

di Monica Daccò

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