Internet fa sentire "fighi" e confortati nelle opinioni: inganna. Ma si può cambiare

TORINO - Riflessioni di fine 2021: l'essere (o non essere) umano e i Social. Chi avesse ancora dei dubbi sappia che adesso è confermato: l’uso continuato di Internet diminuisce il nostro pensiero critico. Non si tratta di un’ipotesi temuta, ma di una conclusione che emerge dalle analisi. La rete opera all’interno di logiche che, naturalmente, hanno delle conseguenze. Il pensiero critico, in questo caso, corrisponde alla facoltà di valutare, soppesare le informazioni secondo i nostri criteri. Permette di stabilirne la validità, la rilevanza. A quanto pare, alcuni aspetti di Internet non aiuterebbero a sviluppare questa abilità, al contrario la indebolirebbero.

In che modo succede? Molte funzioni, servizi o spazi sul Web, dai motori di ricerca alle reti sociali, lavorano con algoritmi. Il principio sarebbe “andare incontro” agli interessi e alle preferenze dell’utente. Con il tempo, però, finiscono per limitare le esperienze dei navigatori in rete. Ne consegue l’indebolimento del (già molto scarsamente diffuso) pensiero critico. Sostanzialmente, sono tre i modi principali in cui agisce Internet in tal senso.

1) Quando cerchiamo una parola su Internet, il motore di ricerca attiva una serie di parametri in base alle informazioni che ha raccolto precedentemente su di noi. In questo modo, i primi siti a comparire nella lista sono quelli che visitiamo più spesso o che contengono informazioni consultate abitualmente. Avviene qualcosa di simile nei Social: appena entriamo, vedremo in primo piano i post delle persone con cui interagiamo abitualmente e che, in linea di massima, pensano in modo simile a noi. Senza rendercene conto, la nostra cerchia si è già ridotta notevolmente. Gli algoritmi ci catapultano, in modo impercettibile, in un mondo ideologico che conferma le nostre opinioni. Evitano di metterci in contatto con informazioni e idee in contrasto con le nostre, dandoci un’idea limitata della realtà circostante. Siamo convinti di conoscere la realtà senza renderci conto che ci stanno incoraggiando a vederne solo una fetta. Questo è il primo motivo per cui Internet riduce il nostro pensiero critico ma ci sentiamo inevitabilmente “fighi” e confortati nelle nostre opinioni, fondate o bislacche che siano.

2) I Social Network hanno creato un nuovo tipo di dipendenza, quella dai Mi piace. Non lo facciamo in modo consapevole, ma ogni volta che postiamo, in un modo o nell’altro aspettiamo le reazioni degli amici, l’approvazione di quanto abbiamo pubblicato. Se nessuno lo fa, ci sentiamo frustrati e arriviamo perfino a dubitare della validità del nostro pensiero. Ecco dunque alimentato un altro male di questo secolo: il narcisismo egotista che ciascuno di noi porta dentro e che la solitudine umana ed i falsi modelli altro non fanno che amplificare. Un altro modo con cui Internet diminuisce il nostro pensiero critico è proprio questo: convertire il nostro ego in un prodotto di consumo sociale e alla continua ricerca di approvazione. Essere in disaccordo o critici rispetto al mainstream può significare uscire da un gruppo, dover affrontare il rifiuto o le critiche. Il timore delle conseguenze può condizionare in modo potente il nostro pensiero.

3) Il Web ci dà la falsa sensazione di non essere soli, in una conversazione che sembra non avere né capo né coda. Questo dialogo interminabile ruota su argomenti che diventano “comuni”. Che ci piacciano o meno, di questi argomenti si deve parlare. Si può quindi dire che il Web permette la proliferazione e dona lunga vita a relazioni che nel mondo reale scarteremmo o riterremo irrilevanti. In maniera graduale, Internet rende superfluo il contatto fisico. Le interazioni in rete comportano sempre la stessa postura: seduti e davanti a uno schermo. Entrambe le situazioni hanno un effetto sul corpo e sul cervello. Il movimento stimola l’intelligenza, il contatto fisico aumenta la capacità di provare empatia, lo scambio e l’affetto.

Secondo Albert Benschop, pioniere della sociologia della rete, siamo però ormai giunti ad un punto in cui è necessario evitare distinguere tra reale e virtuale, in quanto Internet influenza la nostra realtà e il sociale stesso: non esiste un mondo di regole e convenzioni sociali alternative per il Web. Di conseguenza, abbracciando questa visione andrebbe rivisto anche il concetto di personale, poiché il sociale dei social media è l’ostentazione del personale. È infatti, impossibile negare la dipendenza dai social media, in quanto: «Siamo stati tutti riattivati e l’oscenità delle opinioni comuni, la prostituzione quotidiana dei nostri dettagli privati, sono perfettamente integrate nel software e coinvolgono miliardi di utenti che non sanno come uscirne». (Lovink, Abisso dei social media). Il problema è la natura del sociale, considerato come una rivolta basata sull’ordine del giorno, guidata dai meme. L’unica soluzione sembra essere per l’autore una cibernetica 2.0, ossia contributi dati da una generazione di scienze umane che sia al pari con la tecnologia e non a digiuno di essa.

di Lorenza Morello

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