Sorry, Boys. Soffio vitale che si fa corpo. Marta Cuscunà inverte sospiri in poesia

NAPOLI - Sorry, Boys. Dialoghi di un patto segreto per 12 teste mozze. Lo spettacolo che ha dato il via alla programmazione del Teatro Area Nord e rinnova il sodalizio tra il Politeama/Teatro Augusteo e Teatri Associati di Napoli/Teatro Area Nord è scritto, diretto e interpretato da Marta Cuscunà, assistenza alla regia Marco Rogante, disegno ​ del ​ suono ​ Alessandro ​ Sdrigotti, co-produzione Centrale Fies, distribuzione Laura Marinelli.

Leggende e indiscrezioni sono eco dell’inconscio collettivo e questo Marta Cuscunà lo sa. Ogni artista che ha basi di “antropologia della performance” intende il dramma sociale come “materia grezza” da cui il teatro viene tenacemente rigenerato, e così l'autrice sceglie un episodio che nel 2008 imbarazzò, non poco, proprio la patria del puritanesimo, quando un folto gruppo di sbarazzine studentesse minorenni della Gloucester High School sognarono una comune femminile e mostrarono al mondo la loro libertà di scoprire il sesso prendendosi la responsabilità di restare incinte contemporaneamente.

La performer friulana, esperta di teatro visuale, usa la parola e la voce, lavora su ben 12 timbri sonori che nascono da esplorazioni vocali e fisiche pregne di anima e autenticità. Soffio vitale che si fa corpo attraverso l’abile guida di 4 bocche femminili e 8 maschili, fissate a pannelli lignei che dividono realtà e palco fra adolescenti e adulti.

Le teste meccaniche rese vive da Paola Villani, sono abitate dalle luci di Claudio “Poldo” Parrino, burattini dalle palpebre che si muovono tra vanità comiche perfette per la tensione interiore voluta e ottenuta nella pièce. Nella dimensione scenica, la presenza delle sovversive ragazzine è visibile solo trasversalmente, ne leggiamo le intenzioni grazie alle animazioni grafiche di Andrea Pizzalis “Bisogna dirglielo. Cosa? Dirgli tutto. NOOOO”. Sorry guys, voi siete stati solo usati perché "loro vogliono fare tutto da sole!".

Cuscunà ci invita a ragionare sui fatti. Il testo è del 2016 e fa parte della trilogia sulle Resistenze femminili: "questo fatto non si basa su grandi principi, è irrazionale, anarchico, istintivo, ha coinvolto i più deboli della periferia, le ragazze adolescenti, con il loro unico potenziale rivoluzionario, ma è nato sotto il segno della superficialità, conferma il carattere nichilista di questa generazione".

Nessuna stilizzazione particolare per 5 maschere di ragazzi qualunque, avvolti da cappucci e cappellini alla moda, intenti a ragionar di cose normali tra adolescenti: "gli piace quello che fanno? Ansimano e si divertono!".

I genitori, il preside, l’infermiera della scuola, rappresentano altrettanti cliché di una società fatta ormai di parole. Eppure, l’atmosfera leggera di una chat, la birichinata di una squadra di piccole donne padrone del proprio cinismo e del proprio utero, disvela scottanti verità con lo scandalo ingenuo di chi sa analizzare la parte scomoda della psiche umana. Emergono racconti crudi che però non angosciano lo stile del progetto, anzi, con estrema delicatezza Cuscunà avanza verso il pubblico trasformando le sue voci in un unico respiro, invertendo i loro sospiri in poesia. Intimamente ci confida, senza giri di parole, che il capo della polizia di Gloucester riceveva continue segnalazioni di violenza domestica ma che la marcia di 500 uomini nello stesso periodo, nella stessa cittadina, sono forse qualcosa di più di una coincidenza, ma un vero gesto di sensibilizzazione al maschile.

La performance lascia al pubblico il compito di andare alle fonti di queste notizie,​ ma a un tratto ci appare chiaro il motivo per il quale quegli stessi 5 teenagers appesi ad un trofeo da caccia, siano stati immolati mentre si chiedono: “perché ci hanno esclusi?”. La regia sembra suggerirci che la violenza è violenza e non ha genere perché si resta spesso vittime di errori commessi da altri.

Re-stiamo, così, come sibili sospesi nel buio di un palco, finché l'inchino che lega teatro e vita reale, non pervade la platea di nuove consapevolezze.

di Anita Laudando

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