TORINO - Del referendum del 12 giugno e dei troppi problemi dell'Italia. La doverosa premessa è che scrivo questo pezzo obtorto collo. Non avrei, infatti, spontaneamente scritto nulla, ma lo faccio solo per rispondere apertamente alle tante richieste di opinione che mi giungono direttamente o sui social. Non avrei detto nulla perché la mia educazione sabauda mi ha insegnato che se non si può parlare bene di qualcosa o di qualcuno, allora è meglio tacere.
A meno che non si faccia politica, dove la critica dovrebbe sempre mantenere il proprio ruolo di cane da guardia dell’opposizione. Ma in un Paese dalle larghe intese in un Governo di non eletti, questo suona solo come un tristo ricordo del tempo che fu. Ciò detto, la mia opinione sul referendum del 12 giugno credo sia già chiara dalla premessa: sebbene i quesiti siano più che attuali e legittimi, si tratta niente di più che dell’ennesima farsa all’italiana.
Iniziamo dai temi di giustizia sottoposti al voto: separazione tra giudici e pm, arresti, legge Severino, pagelle ai magistrati, elezione del Csm. Sono temi complessi, antichi, e di difficile approccio anche per molti addetti ai lavori. Aggiungiamo poi che solo un elettore su 4 sa delle consultazioni del 12 giugno 2022. E senza quorum sarà un nulla di fatto.
Il problema è culturale, oltre che politico. E di certo non aiuta nemmeno i volenterosi la conoscenza di come sia stata bistrattata la volontà popolare in passato. La legge 352 del 1970 regola infatti le cose che devono accadere per rispettare l’esito del voto, negativo o positivo che sia. L’art. 38 sancisce che qualora l’esito della consultazione sia negativo, non potranno essere proposti referendum per l’abrogazione della stessa legge per un periodo di 5 anni. Qualora invece il quesito venga approvato, l’articolo 37 dispone che il presidente della Repubblica debba dichiarare l’avvenuta abrogazione della legge tramite decreto pubblicato in gazzetta ufficiale. L’abrogazione ha valore dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto.
Ma una volta che una norma è stata cancellata, o parzialmente cancellata, da un referendum popolare, è possibile per il parlamento o il governo ri-legiferare sulla materia? Come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza 199, 2021 la risposta è ma come sempre ci sono delle eccezioni. Non è infatti possibile per parlamento e governo modificare quanto deciso dagli elettori, a meno che non si verifichino dei “cambiamenti strutturali del quadro politico, o del contesto generale”. Definizione ambigua e aperta a infinite interpretazioni, che rende possibili le eccezioni. E, a proposito di eccezioni, l’esempio forse più calzante è il referendum del 1993 per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, di fatto poi reintrodotto lo stesso anno dal parlamento sotto forma di rimborso elettorale.
La stessa cosa, secondo alcuni, sta avvenendo all’esito del referendum 2011 sull’acqua pubblica. Insomma, mentre su carta il “cosa succede il giorno dopo” sembra essere molto chiaro, in pratica, come sempre, il contesto politico e il dibattito parlamentare possono dare adito a situazioni poco chiare. Ciò detto, se si volesse non rendere vano l’enorme dispendio di denaro pubblico che comunque ci sarà, e ci si volesse recare alle urne, la mia personale opinione è che tutti i quesiti meritino un “SÌ” come risposta.
In sintesi, perché in un Paese così ipocrita da dare il nome proprio di una persona ad un problema strutturale e poi fare una riforma della Giustizia che altro non è che la reformatio in peius di quel “sistema”; in un Paese dove il presidente del Consiglio in carica non ha mai parlato del tema “mafia” e dove ad un procuratore capo è stata già annunciata la stessa sorte che fu di Falcone e Borsellino nel silenzio assordante delle istituzioni; in un Paese che carcera degli innocenti senza che mai nessuno paghi per quegli anni sottratti alla vita… ebbene, il minimo che si dovrebbe fare in siffatto Paese sarebbe epurare tutti e ricominciare tutto, ma proprio tutto, daccapo. Ma laddove questo è ahinoi impraticabile, recarsi alle urne e votare sì potrebbe essere un inizio, oppure l’ultimo baluardo di chi nella Giustizia crede ancora. E davvero.
di Lorenza Morello (presidente nazionale Avvocati per la mediazione)
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