TORINO - La situazione di emergenza idrica che da giorni riempie le pagine dei quotidiani non sembra affrontata a fondo. È importante fare chiarezza su un punto: in Italia non è l’acqua a mancare ma sono le infrastrutture alla stessa legate a essere vetuste e insufficienti. Sentire parlare poi di razionamento idrico in due regioni come Piemonte e Lombardia, che sono le due regioni del Po, grida vendetta a Dio. Ma è la solita solfa italiana di quando anziché affrontare seriamente i problemi, vogliamo dare la colpa ai cittadini scialacquatori (nel vero senso della parola) affinché nuovamente Stato e Regioni siano esenti da colpa.
Lasciamo che parlino i dati: noi abbiamo più piogge, più corsi d’acqua di ogni altro Paese europeo: ne abbiamo 7.596, di cui 1.242 sono fiumi. Ma tutti i nostri corsi d’acqua, di cui oggi la gran parte sono in secca, alcuni sono addirittura polvere, hanno – unico Paese europeo di queste dimensioni – un carattere torrentizio, non fluviale come sono i grandi fiumi europei, che sono lunghi oltre mille chilometri, larghi che sembrano enormi laghi. Ma in Italia se c’è pioggia hanno acqua, se non c’è vanno in secca subito. Infatti, rischiamo le alluvioni proprio perché d’improvviso non riescono ad assorbire l’acqua. Noi abbiamo 526 grandi dighe più circa 20mila piccoli invasi. Immagazziniamo oggi più o meno l’11,3% dell’acqua piovana in questi contenitori.
Cinquant’anni fa se ne immagazzinava circa il 15%, perché nel frattempo non essendoci manutenzione, sfangamenti – i sedimenti mano a mano si accumulano e lo spazio per l’acqua si riduce –, il risultato è che abbiamo queste grandi dighe che non vengono ripulite perciò riescono a stoccare sempre meno acqua. Oltre a ciò, ne sprechiamo una quantità inenarrabile. Fatto 100 i prelievi dell’acqua, noi però sappiamo quasi tutto solo di un segmento del 20%, che è poi l’acqua che arriva al rubinetto. Ed è l’unica acqua controllata da un’autorità, che è Arera, Autorità di controllo di energia, gas, acqua che controlla le aziende idriche. E sappiamo che nei 600mila km di rete idrica italiana noi perdiamo per strada il 42% di acqua. Un vero e proprio scandalo, la più alta percentuale mai esistita!
Come se non bastasse, sul restante 80% non c’è alcun controllo. Circa il 51% viene utilizzato in agricoltura, dove se ne spreca almeno la metà con l’irrigazione a pioggia, e poi c’è un 25% di acqua prelevata per usi industriali. Siamo l’unico paese europeo che con l’acqua potabile ci lava i piazzali, gli automezzi, raffredda gli impianti produttivi, quando potrebbe esser fatto con il riuso delle acque di depurazione, di riciclo. Noi abbiamo ottimi depuratori da cui fuoriescono più o meno 9 miliardi di metri cubi acqua ogni anno, anche di grande qualità, trattata, depurata, e la ributtiamo a mare, anziché immagazzinarla lungo il tragitto. E l’acqua del mare non la desalinizziamo (con il più grande desalinizzatore al mondo fatto negli Emirati -ovvero nel deserto- da una impresa italiana. Ci rendiamo conto? Il deserto ha l’acqua grazie a noi, e l’Italia rischia la desertificazione per l’incuria e la burocrazia.
Siamo l’unico Paese europeo che non riusa l’acqua di depurazione. E da giugno di quest’anno anno l’Europa ci sanzionera’ anche per questo motivo. Abbiamo un ritardo pazzesco nelle infrastrutture idriche dell’acqua che va al rubinetto perché con la legge Galli tutto è delegato alla bolletta e avendo noi la bolletta più bassa d’Europa, non è che con i proventi si possono fare grandi riparazioni, sostituzioni, sono costose. Certo, è un problema di stoccaggio e distribuzione. Oggi ci mancano almeno 2.000 piccoli e medi invasi ma c’è il piano dei Consorzi di bonifica che ne ha 400 pronti e progettati solo da sbloccare.
L’acqua non è più nei bilanci dei Comuni, delle Regioni. La conclusione di questo stato paradossale è il Pnrr: su quasi 200 miliardi l’acqua ne ha l1, il 2% delle risorse. Però i grandi esperti vengono a consigliarci di mangiare la pasta cuocendola a fuoco spento o di cambiare meno la biancheria intima…se davvero questi sono gli strumenti per salvare il Paese, per quanto mi riguarda, emigro prima di morire di sete.
di Lorenza Morello (giurista d’impresa, presidente nazionale Apm - Avvocati per la Mediazione)
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