NAPOLI - Dal 9 al 19 marzo 2023 è al Teatro Tram di Napoli "Artemisia", con Titti Nuzzolese e Antonio D’Avino, testo e regia di Mirko Di Martino. Rappresentato per la prima volta 10 anni fa, l’intensità della performance continua a rendere giustizia alla pittora del XVII secolo. Orazio Gentileschi aveva due figli, entrambi maschi, ma solo Artemisia con la sua passione per la pittura. Sentiamo sulla pelle che le parole “Il tuo talento non poteva averlo tuo fratello? Dipingi oscenità!” furono davvero pronunciate da questo padre che vedeva la figlia come una ladra di gloria.
Artemisia cresce a Roma, segue la scuola caravaggesca. È una donna. Fu stuprata dal paesaggista Agostino Tassi. Lui se la cavò con pochi mesi di prigione, lei venne etichettata per tutta la vita. Fin qui è tutto noto ai più. La cosa che rende interessante la messa in scena, che dura il giusto, che non lascia spazi a momenti di cali, è proprio il fatto che niente di questa faccenda viene raccontato come dato finito e scontato. Nuzzolese ci riconsegna l’umanità dell’artista che interpreta, con i suoi dubbi, le sua fragilità, il suo spessore emotivo. Dinamica e profonda, il suo cuore è permeato da flashback e flashforward, da date importanti, da riflessioni e dubbi che, evidentemente, fermava nei suoi disegni, spargeva fra le sue tele: “Pensavo che dipingere fosse più importante che vivere”.
Sullo sfondo si dispiegano simbolicamente tre opere “Giuditta e Oloferne”, “Susanna e i vecchioni”, “Giaele e Sisara”. A Firenze fu amica di Galileo Galilei, a Roma divenne pittrice affermata, a Napoli, dove morì, ebbe una sua bottega. No, questa non è la storia di uno stupro, è l’incarnazione del fatto che “nessuna opera d’arte è mai finita davvero”, manca sempre una pennellata, uno sguardo, qualcosa da consegnare ai posteri, ed è quello che fa Di Martino creando un testo che pulsa. E per renderlo vivo, D’Avino, saprà diventare molte cose, padre, amico infedele, giudice e predicatore, generoso ma misurato; sostiene il ritmo di una vicenda ancora scomoda da decifrare.
Con i costumi di Annalisa Ciaramella e la produzione Teatro dell’Osso in collaborazione con Vissidarte, i meritati applausi vanno a tutti, nonostante l’unica nota stonata di avere fatto una lettura, nemmeno teatrale, di due poesie ad apertura sipario. Episodio completamente dimenticato dal pubblico raccolto nel delizioso spazio di via Port’Alba e autenticamente commosso dallo stile dello spettacolo.
“La mia vita è una tela bianca con una data in basso”.
di Anita Laudando
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