Chi non serve non serve? Sigfrido Ranucci nell'analisi di Alessandro Ciccone

Sigfrido Ranucci
Sigfrido Ranucci

BOLOGNA - Chi non serve non serve? “Da una nobile reputazione non nasceva minore pericolo che da una cattiva fama” (Tacito, Agricola). Servire è un verbo che ha sempre esercitato nei miei confronti un certo fascino. La ragione risiede nel suo carattere anfibio sul piano semantico. I significati, difatti, possono essere molteplici. Propongo, di seguito, due esempi. 1. Sigfrido Ranucci non serve. 2. Una bomba, che esplode nei pressi dell’abitazione di Sigfrido Ranucci, a Campo Ascolano (Pomezia), nella notte fra 16 e 17 ottobre 2025, e distrugge le auto del giornalista e della figlia, serve a fare del male al suddetto e a chiunque sia legato a lui. Procedo, adesso, nell’analisi del significato del verbo in ciascuno dei due enunciati.

Sigfrido Ranucci ha la schiena dritta, non ha padroni

Nel primo caso, Sigfrido Ranucci non serve, nel senso che non è asservito, non è in una qualsivoglia condizione dì servitù. È indipendente, insomma. Nel secondo caso, invece, la bomba serve, nel senso che è strumento funzionale alla realizzazione di un atto, al perseguimento di uno scopo. Nella fattispecie, un atto che abbia uno scopo lesivo nei confronti di Ranucci e di chiunque sia legato a lui. Gli esempi qui riportati sono, come si intuisce, legati più profondamente che sul mero piano linguistico. A legarli è una sorta di rapporto causa-effetto. Procedo con ordine. Sigfrido Ranucci è un giornalista, conduce Report, un programma d’inchiesta, in onda su Rai 3. Sigfrido Ranucci ha la schiena dritta, non ha padroni, non è legato a logiche di partito. Il giornalismo in Italia, d’altro canto, versa in condizioni ben differenti. Non mancano, infatti, quotidiani foraggiati da grandi gruppi, legati a personalità di rilievo. E ancora, quotidiani partitici, persino quotidiani, per così dire, parlamentari. Per non parlare dei giornalisti, che, ebbri di sudditanza, attendono in fila per compiere la proskynesis ai propri padroni, quasi fossero antichi sovrani orientali. Ranucci è, dunque, una mosca bianca (e la sua redazione con lui) in questo panorama giornalistico che si crogiola nel marcio, votandosi, sempre più, ad un servilismo becero e spudorato. La scelta di non vendersi, di non sottomettersi a chicchessia, proprio in ragione della sua rarità, non passa inosservata.

Luciano Canfora, Roberto Saviano e Tomaso Montanari

Non passa inosservata soprattutto ai suoi detrattori, a chi lo attacca. Perché quando non si ha il timore di scagliarsi con fervore contro chi lo merita, gli attacchi non esitano ad arrivare. In Italia è così: le inchieste scomode originano, prima che riconoscimenti, offese, delegittimazioni, minacce. Nella notte incriminata, però, si è superato il limite, quando il boato provocato da un chilo di tritolo avrebbe dovuto generare il silenzio definitivo. Un gesto estremo, simbolico, figlio di un clima gravido d’odio. Un gesto che stimola una riflessione a ben più ampio raggio, in cui ciò che è accaduto a Ranucci può essere esemplificativo per comprendere quale sia il trattamento riservato oggigiorno ai pensatori scomodi, non allineati. Ranucci fa parte di una comunità, più ideale che concreta, di intellettuali (giornalisti, scrittori, professori, etc.) che subiscono vessazioni in maniera costante ed arbitraria per via delle loro idee, delle loro posizioni, anche da parte di chi sarebbe tenuto a tutelarli. Tra i tanti, o meglio, tra i pochi, penso a Luciano Canfora, Roberto Saviano, Tomaso Montanari. Queste menti, a cui io rivolgo la mia totale solidarietà, sono divenute bersagli pubblicamente esposti, nomi da citare in goffi sproloqui propagandistici a fini elettorali, e non solo. Sono in atto vere e proprie campagne di delegittimazione. Le definirei carsiche, fittizie, alimentate nell’ombra e sempre in procinto di generare un'esplosione, fuor di metafora nel caso tristemente occorso, da un momento all’altro. Prendendo atto della situazione, vorrei, perciò, esortare i governanti e gli organi di potere ad interrogarsi sul proprio ruolo, valutando se il dovere di reprimere sia tanto caro da essere preferito al dovere di salvaguardare, ad ogni costo, anche chi “non serve”.

di Alessandro Ciccone

Ricerche Correlate

Sostienici economicamente

Commenti