Festa di Piedigrotta, il primo musical del teatro italiano

Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Teatro Trianon, fotografia di Pino Miraglia
Festa di Piedigrotta, regia Nello Mascia, Teatro Trianon, fotografia di Pino Miraglia

NAPOLI - “Festa di Piedigrotta” dal 15 al 19 ottobre 2025. Il teatro del popolo, conosciuto come "Il Teatro della Canzone Napoletana, Trianon - Viviani", da cinque anni diretto artisticamente da Marisa Laurito, inaugura la stagione teatrale 2025-2026 con “Festa di Piedigrotta”. È “il primo musical del teatro italiano”, afferma Nello Mascia, che ne ha curato la regia, oggi come vent’anni fa, rispettando tempi, linguaggio e ambienti del capolavoro di Raffaele Viviani. Rappresentato al Teatro Umberto il 19 novembre 1919, si tratta di una sagra popolare in prosa, i cui due atti sono stati integralmente rispettati nel proprio stile artistico di musica che si fa corpo. Il maestro Mascia (votato più volte da diversi membri dell'Anct per il premio alla carriera) attraversa la sala nelle vesti della memoria collettiva, riunisce gli umori circensi del suo cast raccolto intorno al proscenio nudo, ma vivacizzato dai costumi di Francesca Romana Scudiero.

Sul palco quarantuno personaggi e trenta artisti

Come un sacerdote laico, lentamente e pienamente, risuona la sua voce profonda: “Chesta è 'a rumba d'e scugnizze, ca s'abballa a tutte pizze. Truove 'e ddame, 'mpizze ' mpizze, ca te fanno duje carizze, pe' te fá passá e verrizze..”. Sul palco, quarantuno personaggi e trenta artisti tra cui Ciccio Merolla, Pietra Montecorvino, Serena Pisa (EbbaneSis), Dario Sansone (Foja) ed Ernesto Lama. Ma chi è l’attore vivianesco? Un modo di essere aristocratico, secondo Vittorio Viviani; è lo stesso Nello Mascia che ci traduce il senso di quel certo rigore della napoletanità: “una gestualità lenta, quel procedere ritto e solenne, lo sguardo onesto”. E allora eccoli Don Gennaro (Gino Monteleone) e Donna Filumena (Federica Aiello) mentre scortano la figlia Nunziatina (Federica Totaro) e il fidanzato Beniamino (Claudio Bellisario). I due vecchi genitori si assopiscono, ma vengono risvegliati dalle trombette della festa ogni qualvolta che i due innamorati cercano intimità.

Ogni battuta di Viviani è musica, ogni parola è oro

L’amore, si sa, trova soluzioni, così la giovane coppia risolve il problema corrompendo i ragazzini che strombazzano, i quali, per loro natura scugnizza, ruberanno le scarpe ai due anziani. Par di sentire il maestro Mascia ripetere: “Ogni battuta di Viviani è musica, ogni parola è oro, anche quella apparentemente più banale. E quella musica, quell’oro deve risuonare, quell’oro deve tintinnare in ogni sillaba detta, in ogni consonante, in ogni vocale”. La prima scena non si dimentica, come una dimostrazione pratica di questo genere teatrale. Le scenografie essenziali di Raffaele Di Florio prevedono degli alti carrelli, dentro cui l’immaginazione dello spettatore entra in simbiosi con quella degli attori che, di volta in volta, transitano fra pezzi di popolo illuminato da Gianluca Sacco, così come farebbe un occhio di bue se potesse esplorare un multiverso. Gigantesche gabbie aperte, un ossimoro scenico che non rimanda a quadri statici, ma a situazioni in movimento, dinamiche, che prendono vita, mentre entrano “a scena aperta” fra le pulsanti coreografie di Ettore Squillace.

Tante le canzoni riadattate da Eugenio Bennato

Siamo dentro un non-luogo il cui centro è ovunque, questo elemento rende rito quella coralità del teatro vivianeo, sempre ricercata con originalità dalla regia. La Madonna di Piedigrotta, patrona dei musicisti napoletani emerge nel suo amaro ruolo di divertissement, per dimenticare la guerra; fede, arte e tradizione popolare divennero poi l’occasione per presentare i nuovi autori della nostra canzone. Ai tempi di Viviani (anzi Viviano) questo culto di fine estate era atteso per i balli, i canti popolari e i carri allegorici che si avvicendavano intorno alla Grotta di Posillipo. Tante le canzoni, riadattate da Eugenio Bennato, in sala qualcuno sussurra che sembra di essere a un concerto. Forse, tradire qualcosa, per selezionare senza rinunciare, avrebbe reso il lavoro più godibile, allo spettatore comune, ansioso di definire i bozzetti di un’opera che si apre totalmente nel secondo atto. La devozione alla Madonna, elemento fondante della festa originaria, è solo accennata da una statua che vediamo spostare come se ingombrasse; è posta in basso rispetto ai supporti metallici che ruotano nello spazio come atomi democritei, particolare che ben rende l’intento registico di parlare dell’umanità spogliata da ogni ingenuità, la cui cruda realtà post bellica, non ha miti più grandi dell’esistenza stessa.

Realismo senza compiacenza, umanità senza retorica

Ecco allora che il corpo dell’attore ci appare gigantesco, che gli scugnizzi portano un elmetto con drappi colorati da veri guerrieri e che le donne simili a Janare, spruzzano libido intorno al povero Mimì di Montemurro, interpretato da Stefano Sarcinelli con deliziosa umiltà. Benedetto Croce disse del teatro di Viviani: “Realismo senza compiacenza, umanità senza retorica”, canone rispettato in questo allestimento, seppur manierato e riadattato al teatro attuale. Ma è sul finale che appare Filomena Diodati, voce angelica e immensa, rappresenta le donne palestinesi, il senso del martirio, la Madonna come simbolo universale in cui la devozione diventa speranza e la teatralità si rovescia nella drammaturgia del presente. Non mancano momenti recitativi molto intensi: il climax resta nel petto con Viviana Curcio nei panni di ‘Ngiulina che cerca il suo bambino e poi lo ritrova. Nella solitudine della scena, sentiamo il peso della moltitudine, la non - festa della folla, quella massa disorientata che Gustave Le Bon descrive come un'entità irrazionale. 

di Anita Laudando

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