Antonio Socci con Benedetto XVI, sostiene che non si deve mai smettere di essere testimoni di Cristo
ROMA - Benedetto XVI citava spesso una chiosa di Sant’Ignazio di Antiochia nella quale si sottolinea: “E’ meglio rimanere in silenzio ed essere, che dire e non essere”. Si tratta di una Lettera agli Efesini. Il grande Pontefice, ovvero il Papa dallo sguardo lungo e dalla preghiera contemplante. Perché la debolezza di Dio è più forte degli uomini mel messaggio paolino. Antonio Socci, di cui ho seguito tutto il suo percorso, attento e intelligente conoscitore del viaggio cristiano, oltre gli inquietanti modelli teologici dell’attuale papato, ha tracciato un vero e ontologico passaggio cristologico nel suo “Avventurieri dell’eterno”. Ora con “Il segreto di Benedetto XVI” (Rizzoli) tocca alcuni nodi ancora non risolti e che non facilmente si risolveranno. L’attuale pontificato è un nodo di gordio. Socci, come io e molti di noi vicini a Benedetto, ci domandiamo, come dovrebbero chieder solo tutti i pellegrini in Cristo, perché Benedetto XVI è ancora papa?
È un costante dialogare che parte proprio da Cristo nella centralità di un umanesimo che va oltre le frontiere di Bonifacio VIII per attraversare San Paolo nella Damasco del deserto e compiersi in Agostino che detta il linguaggio delle confessioni grazie alla definizione della bellezza come metafisica e mai come teologia. A questi riferimenti si era ancorata anche la filosofa spagnola Maria Zambrano, sulla quale lavoro da decenni per cercare di definire un pensiero come confessione appunto anche di un genere letterario. Zambrano è tra Sant’Agostino e Paolo.
Agostino diventa, per Socci, il porto che emerge dal sepolto per farsi Terra Promessa. Ma è il concetto di infinito che si sottolinea sia in Kierkegaard che in Dostoevskij in una dimensione che va oltre la siepe e si focalizza proprio nel concetto di eterno. Allievo di Don Giussani. Attenzione. Oggi Don Giussani non è Comunione e Liberazione e questa non è assolutamente l’espressione di ciò che disse e scrisse Don Giussani. E’ un dato da chiarire con molta precisione perché la confusione è tantissima nel gregge dei liberatori della comunione.
Agostino diventa, per Socci, il porto che emerge dal sepolto per farsi Terra Promessa. Ma è il concetto di infinito che si sottolinea sia in Kierkegaard che in Dostoevskij in una dimensione che va oltre la siepe e si focalizza proprio nel concetto di eterno. Allievo di Don Giussani. Attenzione. Oggi Don Giussani non è Comunione e Liberazione e questa non è assolutamente l’espressione di ciò che disse e scrisse Don Giussani. E’ un dato da chiarire con molta precisione perché la confusione è tantissima nel gregge dei liberatori della comunione.
Scrive Don Luigi Giussani: “Ognuno di noi è stato scelto attraverso un incontro gratuito perché si renda egli stesso incontro per gli altri. È dunque per una missione che siamo stati scelti…”. Una missione in questo nostro tempo. La lacerazione che ci attraversa tocca il vuoto delle coscienze ed è indifferenza il legame tra laicità e relativismo, tra sostanza ed essenza. Siamo dentro un viaggio privo di metafisica. Siamo anche stanchi ma mai ci si arrende. Mendicanti di deserti o nel deserto. Rincorriamo la Grazia e la Voce.
Don Luigi Giussani: “Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo“. Una “parabola” che diventa la metafora vera di questo nostro tempo di contraddizioni e scavanti lacerazioni. Siamo in cammino. Quale sarà mai il nostro porto o la nostra Isola o il nostro stare tra le vele in mare aperto?
Allievo di Don Giussani e dentro la mistica teologica di Benedetto XVI, Socci, scrive che bisogna sempre essere dei mendicanti che cercano la verità perché noi, egli dice, restiamo dentro l’eternità in quanto “creati per l’eternità, per incontrare qui, in questa vita, l’Eternità fatta carne, l’Uomo -Dio”.
La lezione di Don Giussani diventa caratterizzante come quella di Benedetto XVI ed è chiaro che siamo ad un pensiero forte e non relativista come negli slogan di papa Bergoglio. Ma CL non è più Don Giussani. O meglio il pensare mistico di Don Giussani non si trova più il Comunione e Liberazione. È così eclatante!
Ciò è evidenziabile, ovvero il pensiero forte, anche negli altri scritti di Socci. Penso a “Tornati dall’Aldilà”. O al toccante e profondo “Mistero Medjugorje” che ho presentato in più occasioni.
“Ho fatto circa 2.000 chilometri fra terra e mare sulle tracce di una donna. È una donna di ‘una bellezza indescrivibile’, assicura chi l’ha incontrata”.
Fragilità e certezza. Due punti di partenza. Eterno e infinito. Due punti di arrivo. Perché questo?
Scrive San Tommaso d’Aquino: “L’ultimo fine della vita umana è la visione di Dio”. Allora qui si incontrano la filosofia dell’umanismo e la teologia cristologica. Infatti è il “Cantico delle Creature” che pone una tale dimensione nella quale Socci si rispecchia.
Senza il valore dell’eternità nessun concetto avrebbe più senso. Si incontrano il cercare e il trovare e interagiscono. Nella vita inquieta del cristiano vale l’osservazione che Kafka scrisse nel 1916: “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato”.
Siamo in quel cammino del mendicante al quale facevo riferimento con Don Giussani e al quale rimanda l’immagine di Giovanni Paolo II.
Dobbiamo percorrere l’esistenza immortalando sempre l’anima della memoria. Socci si sofferma su ciò nello splendido “La profezia finale. Lettera a Papa Francesco sulla Chiesa in tempo di guerra”.
La sua e la mia posizione sono identiche sia sul concetto di profezia sia nei confronti del Relativismo di Papa Bergoglio.
Ancora una volta viene chiamato in causa Don Giussani quando sottolinea: “Io credo che, se non ci sarà prima la fine del mondo, cristiani ed ebrei possano essere una sola cosa nel giro di sessanta -settanta anni”.
Ma è un libro attraversato completamente dalla consapevolezza metafisica in un tempo in cui la guerra dichiarata ai cristiani dal mondo Ottomano investe una gravissima geo-esistenza. Una guerra dichiarata contro la tradizione della cristocentricita’.
Gli strumenti cattolici attuali sono debolissimi.
Saremo islamizzati? La nostra temperie è il vissuto estremo di uno scontro.
Prima di questo viaggio nella profezia finale Socci aveva pubblicato il libro “Non è Francesco”.
Insomma si scontrano due modelli di cultura e due paesaggi di civiltà in una fase in cui la distinzione tra Cattolici e Cristiani è ben consistente.
Il viaggio non smette. Ma noi cristiani in Cristo poniamo come principio fondamentale la Tradizione.
In questi tempi dolorosi, ci dice Socci, non dobbiamo mai smettere di essere testimoni di Cristo. Ma dobbiamo soprattutto saperlo testimoniare. Nel mistero dell’incontro e dell’infinito il Cristo rivelante.
Lungo quale strada percorrere il cammino? Resta l’interrogativo ma abbiamo bisogno di vivere nella Profezia.
Così Maria Zambrano: “Il sapere delle cose della vita è frutto di lunghi patimenti, di lunga osservazione, che ad un tratto si condensa in un istante di lucida visione. Tale sapere si rivela dietro un evento estremo, un fatto assoluto, come la morte di qualcuno, la malattia o la perdita di un amore”.
Il problema si pone con molta gravità, oggi. Benedetto è la cristianità nella tradizione. In quella tradizione in cui il mio viaggio si fa rivelante!
Perché Bendetto XVI è ancora papa? Egli sottolinea: “Possiamo nel silenzio della ‘notte oscura’, ascoltare tuttavia la Parola. Credere non è altro che, nell’oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel silenzio, ascoltare la Parola, vedere l’Amore” (2013).
di Pierfranco Bruni
Don Luigi Giussani: “Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo“. Una “parabola” che diventa la metafora vera di questo nostro tempo di contraddizioni e scavanti lacerazioni. Siamo in cammino. Quale sarà mai il nostro porto o la nostra Isola o il nostro stare tra le vele in mare aperto?
Allievo di Don Giussani e dentro la mistica teologica di Benedetto XVI, Socci, scrive che bisogna sempre essere dei mendicanti che cercano la verità perché noi, egli dice, restiamo dentro l’eternità in quanto “creati per l’eternità, per incontrare qui, in questa vita, l’Eternità fatta carne, l’Uomo -Dio”.
La lezione di Don Giussani diventa caratterizzante come quella di Benedetto XVI ed è chiaro che siamo ad un pensiero forte e non relativista come negli slogan di papa Bergoglio. Ma CL non è più Don Giussani. O meglio il pensare mistico di Don Giussani non si trova più il Comunione e Liberazione. È così eclatante!
Ciò è evidenziabile, ovvero il pensiero forte, anche negli altri scritti di Socci. Penso a “Tornati dall’Aldilà”. O al toccante e profondo “Mistero Medjugorje” che ho presentato in più occasioni.
“Ho fatto circa 2.000 chilometri fra terra e mare sulle tracce di una donna. È una donna di ‘una bellezza indescrivibile’, assicura chi l’ha incontrata”.
Fragilità e certezza. Due punti di partenza. Eterno e infinito. Due punti di arrivo. Perché questo?
Scrive San Tommaso d’Aquino: “L’ultimo fine della vita umana è la visione di Dio”. Allora qui si incontrano la filosofia dell’umanismo e la teologia cristologica. Infatti è il “Cantico delle Creature” che pone una tale dimensione nella quale Socci si rispecchia.
Senza il valore dell’eternità nessun concetto avrebbe più senso. Si incontrano il cercare e il trovare e interagiscono. Nella vita inquieta del cristiano vale l’osservazione che Kafka scrisse nel 1916: “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato”.
Siamo in quel cammino del mendicante al quale facevo riferimento con Don Giussani e al quale rimanda l’immagine di Giovanni Paolo II.
Dobbiamo percorrere l’esistenza immortalando sempre l’anima della memoria. Socci si sofferma su ciò nello splendido “La profezia finale. Lettera a Papa Francesco sulla Chiesa in tempo di guerra”.
La sua e la mia posizione sono identiche sia sul concetto di profezia sia nei confronti del Relativismo di Papa Bergoglio.
Ancora una volta viene chiamato in causa Don Giussani quando sottolinea: “Io credo che, se non ci sarà prima la fine del mondo, cristiani ed ebrei possano essere una sola cosa nel giro di sessanta -settanta anni”.
Ma è un libro attraversato completamente dalla consapevolezza metafisica in un tempo in cui la guerra dichiarata ai cristiani dal mondo Ottomano investe una gravissima geo-esistenza. Una guerra dichiarata contro la tradizione della cristocentricita’.
Gli strumenti cattolici attuali sono debolissimi.
Saremo islamizzati? La nostra temperie è il vissuto estremo di uno scontro.
Prima di questo viaggio nella profezia finale Socci aveva pubblicato il libro “Non è Francesco”.
Insomma si scontrano due modelli di cultura e due paesaggi di civiltà in una fase in cui la distinzione tra Cattolici e Cristiani è ben consistente.
Il viaggio non smette. Ma noi cristiani in Cristo poniamo come principio fondamentale la Tradizione.
In questi tempi dolorosi, ci dice Socci, non dobbiamo mai smettere di essere testimoni di Cristo. Ma dobbiamo soprattutto saperlo testimoniare. Nel mistero dell’incontro e dell’infinito il Cristo rivelante.
Lungo quale strada percorrere il cammino? Resta l’interrogativo ma abbiamo bisogno di vivere nella Profezia.
Così Maria Zambrano: “Il sapere delle cose della vita è frutto di lunghi patimenti, di lunga osservazione, che ad un tratto si condensa in un istante di lucida visione. Tale sapere si rivela dietro un evento estremo, un fatto assoluto, come la morte di qualcuno, la malattia o la perdita di un amore”.
Il problema si pone con molta gravità, oggi. Benedetto è la cristianità nella tradizione. In quella tradizione in cui il mio viaggio si fa rivelante!
Perché Bendetto XVI è ancora papa? Egli sottolinea: “Possiamo nel silenzio della ‘notte oscura’, ascoltare tuttavia la Parola. Credere non è altro che, nell’oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel silenzio, ascoltare la Parola, vedere l’Amore” (2013).
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