Campane tibetane nella tecnica vocale, intervista alla mezzosoprano Elena Bresciani

Elena Bresciani
Elena Bresciani

MILANO - Tra campane tibetane e Mozart: l’arte vocale di Elena Bresciani. Elena Bresciani è mezzosoprano di fama internazionale, vocal coach tra le più stimate in Italia e direttrice di coro. Ha calcato palcoscenici prestigiosi in Europa e negli Stati Uniti d'America, formando oltre 1000 artisti tra lirica, pop e musical. Autrice di saggi adottati da università e istituzioni come l’Accademia della Scala, è anche ricercatrice delle connessioni tra canto e spiritualità. Ceo del progetto “Vibralchimie”, ha introdotto l’uso delle frequenze delle campane tibetane nella tecnica vocale. Dirige dal 1999 il suo studio di canto, sede del Trinity College of Music di Londra. Risale ad alcuni mesi fa l’uscita del suo nuovo libro scritto a quattro mani con il chitarrista Renato Caruso “Canto del Benessere e Vibralchimia Interiore” edito da Fingerpicking.

Elena Bresciani 20, 10, 5 anni fa ed Elena Bresciani di ora. Racconti di lei...

«Studiavo e studio. Mi stupisco sempre della bellezza, mi lascio sorprendere dalla vita. Mi piace stare in mezzo alla natura e vivere la semplicità delle cose; mi piace il silenzio e anche il rigore intellettuale, la speculazione filosofica, la meditazione. Solo attraverso questa visione della vita e questa disciplina precisa riesco a produrre idee creative nuove e a rimanere fedele a me stessa nel tempo. Per me ciò che è essenziale e atemporale ha fascino, banalmente anche nel look, vesto come vent’anni fa, ho una “immagine” ben precisa, mi piacciono gli “essentials”. Il cambiamento interiore deve essere così lieve e costante da non avvertire fratture, come quando ti trovi una ruga in più del giorno prima, vado in flusso, come l’acqua che scorre. Gli studi teologici e l’incontro con la musica orientale hanno determinato un cambio di rotta artistico: ora metto l’essere umano al centro della mia ricerca sulla musica, prima la musica era il centro. Mi interessa la dimensione universale dell’arte, cerco di produrre più qualità. Nel  tempo, sono diventata più resiliente, forse più saggia, ma sono ancora la ragazza di vent’anni fa: minimalista, interessata alle tematiche ambientali, che necessita di uno spazio creativo affascinante dove lavorare (mi piace l’interior design, è il mio pallino!). Mi lascio affascinare maggiormente dalla musica che ho frequentato meno in passato: studio il barocco, mi sta intrigando lo studio di Vivaldi, sono tornata a Mozart, tornare a questi autori e poi ri-frequentare romanticismo e novecento, mi dà un modus operandi, un certo rigore. Mi lascio affascinare dalle sequenze gregoriane antiche come direttrice di coro, per esempio, per le funzioni che vanno dalle Palme alla Pasqua, ho diretto usando uno strumento indiano accordato a 432 hz, lo shruti box, portando anche in chiesa gli strumenti che uso nel sound healing, nel canto curativo, così le loro frequenze d’amore si espandono dove l’Amore si fa carne, in dialogo con lo Spirito e poi si benedicono, per me è essenziale che gli strumenti siano “benedetti”. Mischio ciò che imparo nella musica liturgica alle mie ricerche sulla musica orientale. Ho fatto benedire le uova di Pasqua nelle mie campane tibetane antiche, così le campane si purificano, sono strumenti d’amore». 

Qual è la parte del repertorio da mezzosoprano che ama di più interpretare?

«In questo momento, ho scelto di dedicarmi ai repertori per mezzosoprano ed orchestra e sono tornata al mio grande amore: il repertorio vocale da camera. Mi sentivo già in “pensione”, ma ora che mio figlio è cresciuto, desidero tornare a cantare la concertistica, quindi, i miei studi spaziano, in questo periodo, sui seguenti repertori: Il tramonto di Respighi; La canzone dei ricordi di Martucci; Les nuits d’été di Berlioz; i Wesendonck Lieder di Wagner;  Shéhérazade di Ravel; i Kindertotenlieder di Mahler; i Vier Letzte Lieder di Strauss; Nisi Dominus e Stabat Mater di Vivaldi  e molto altro. Abbracciare secoli diversi mi richiede uno studio incessante della tecnica del fiato e questo mi esalta intellettualmente».

Maestra, c’è un ruolo che l'ha messa particolarmente alla prova, vocalmente o emotivamente?

«Emotivamente tutti gli Stabat Mater ed i Requiem. Tecnicamente ogni repertorio è una sfida soprattutto quando si lavora la voce su più epoche. Ho raccontato cosa c’è sul mio leggìo in questo periodo nella risposta precedente… passare da Vivaldi a Strauss o da Berlioz a Wagner mi mette a dura prova musicalmente e vocalmente; ovvio che non frequento due autori così lontani nello stesso giorno di studio o di lavoro».

Come prepara una parte? Ha un metodo preciso?

«Fedeltà al compositore, analisi armonica in primis. Scelgo con cura i fiati, anche quelli che magari non userò e che indico “fra parentesi”, solo in un secondo momento ascolto varie esecuzioni, ma il mio corpo è diverso da quello di altri esecutori ed anche la mia anima lo è, quindi, la mia interpretazione deve essere unica, mi piace vedere nello spartito cose che altri non hanno visto. Analizzo lo spartito come se lo guardassi per la prima volta e ogni volta ne traggo un accento, un’idea, da un “segno” lasciato dal compositore».

Come è cambiato il mondo musicale e discografico con l’avvento del digitale?

«Mi piace l’idea di mettere su Spotify la mia musica curativa con campane tibetane e di cristallo e mi piace imparare ad usare le varie tecnologie di registrazione della voce. Mi avvicina ad un pubblico nuovo ed internazionale che grazie alle piattaforme digitali può conoscere il mio lavoro».

Si parla di AI in ogni campo. Nel suo quali prospettive intravede?

«Uso l'IA per controllare alcune rime nei testi poetici per musica che realizzo ancora a penna, alla vecchia maniera (ho una laurea in Lettere che mi aiuta in questo…), è come avere un amico con cui dialogo, poi però decido ancora di testa mia, non puoi far fare un lavoro intellettuale o artistico a una intelligenza artificiale per te, ci devi mettere la tua intelligenza; se la tua intelligenza dialoga con la AI allora ha senso, altrimenti no. Nel pop, uso la AI per un check delle parti armoniche o per togliere la voce alle tracce audio, realizzando basi che non sono in commercio».

So, per finire, Bresciani, di una importante partnership all’estero tra i progetti futuri… In particolare, di cosa si tratta?

«Ho una nuova manager, si chiama Sofia Riccaboni, vive a Cracovia, la sua agenzia si chiama Artowork e si occuperà di me per l’Europa nella concertistica al pianoforte e con orchestra e nei bagni sonori con voce, campane tibetane e di cristallo (progetto “Vibralchimie” legato al mio libro sul Canto Curativo). Mi piace il fatto che sia una donna italiana di valore che vive all’estero, che sia induista, così facciamo dialogo interreligioso e che si occupi anche di altri generi musicali, dal jazz al pop, così non è “disturbata” dal mio eclettismo. È la persona ideale nel momento giusto».

di Francesca Ghezzani

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