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Un momento dello spettacolo di Giorgio Montanini al Teatro Celebrazioni di Bologna |
BOLOGNA - Teatro Celebrazioni, Bologna. Papa Francesco, Iosif Stalin, Mario Draghi. Non è, come si potrebbe pensare, l’inizio di una barzelletta bizzarra, per quanto sia proprio la comicità a legare i nomi di cui sopra. Anzi, più che la comicità, la satira. Quell’arte atavica capace di scuotere gli animi, in grado di rendere catartico persino il sorriso più amaro. In particolare, sto parlando della satira di Giorgio Montanini. Uno che i nomi li fa, sempre e comunque. “Re Giorgio” - epiteto conferitogli in ragione della sua attività pionieristica nella stand up comedy in Italia - è approdato a Bologna, mercoledì 30 aprile 2025, portando sul palco FALL, suo quattordicesimo monologo inedito, prodotto da Altra Scena. Il tour dello spettacolo, iniziato il 24 gennaio, a Viterbo, dopo le anteprime a Tolentino, Montegiorgio e Porto San Giorgio, tra 8 e 17 gennaio, dovrebbe terminare a Milano, il 10 luglio.
La vita è per il 10% cosa ti accade e per il 90% come reagisci
È arrivato il turno di Bologna. E neppure questa volta “Re Giorgio” ha fatto prigionieri. Ma andiamo con ordine.” Prima dell’entrata in scena di Montanini, si sono esibiti due ottimi artisti, anch’essi marchigiani come il nostro, rompendo il ghiaccio con i loro pezzi satirici: Ezio Testa e Francesco Capodaglio. Il primo, aprendo le danze, è partito da una domanda postagli dalla figlia di 3 anni, per affrontare, poi, il tema della religione: “Dio esiste?”. Ma non solo, da questo incipit alquanto singolare il Testa ha costruito un discorso poliedrico, parlando anche di capitalismo e del valore effettivo del voto in Italia. A seguire, il testimone è passato al Capodaglio. “La vita è per il 10% cosa ti accade e per il 90% come reagisci”. Il suo pezzo ha mosso da questa sententia dal sapore filosofico, mettendone alla prova la validità nelle esperienze di vita. Nel gioco, in famiglia, a lavoro. Esperienze comuni, semplici, ma foriere di riflessioni e nient’affatto banali.
Montanini riscontra delle analogie tra la sua vita e quella del pontefice
Concluso l’intervento del Capodaglio, è giunto il momento di Montanini. Afferrato il microfono, e posata una Tennent’s da 0,33 cl su un tavolinetto, unico elemento della sceneggiatura - tratto caratteristico della stand up comedy - lo spettacolo ha inizio. L’attualità è, sin da subito, il focus. Senza esclusione di colpi. Difatti, il primo personaggio pubblico ad essere chiamato in causa è il defunto Papa Francesco. In un confronto paradossale, Montanini riscontra delle analogie tra la sua vita e quella del pontefice, eccezion fatta per un aspetto. Poi, viene preso di mira il cristianesimo in toto, narrando alcuni eventi particolari, ad esempio quelli legati alla Santa Casa e alla Madonna di Loreto. Un altro racconto estremamente peculiare è quello del coma, il suo, a causa di una polmonite virale, durato 45 giorni, e delle presunte visioni che si manifesterebbero in queste occasioni. L’analisi critica tange anche il mondo del web, strumento dal grande potenziale, ma popolato da individui privi di creatività, pseudo-vigilantes e tanti altri, di cui Montanini mette a nudo i diversi punti d’ombra.
Il nostro afferma di esser stato anche tacciato di complottismo
Naturalmente, tra una parola e l’altra, il rapporto con il pubblico è costante. Pubblico su cui Montanini fa leva anche per trattare quello che ritengo il punto cardine del suo monologo, forse, addirittura, della sua arte. Infatti, il Marchigiano porta avanti un discorso riguardante la forma e la sostanza, sempre più confuse fra loro, complice il famigerato “politicamente corretto”. Un fenomeno mondiale, che ha atrofizzato il linguaggio, illudendo le masse di essere libere, pur portando le catene. La vittima di questo sistema è, per l’appunto, sempre la medesima: la libertà. Montanini esemplifica la situazione fornendo prove concrete, direttamente tarate sulla realtà. In seguito, il nostro afferma di esser stato anche tacciato di complottismo, per aver nutrito delle perplessità legittime in merito alla gestione della pandemia da Covid-19. Restando in tema, denuncia la vera e propria discriminazione, avvenuta in quel periodo, nei confronti di coloro che decidevano, perseguendo una scelta ammessa dallo Stato, di non vaccinarsi. Sull’ultima battuta ho riflettuto, più che riso. A spettacolo finito, sono uscito dal Celebrazioni convinto di aver visto una opera politica. Politico in senso stretto, etimologico. Non partitica, neanche propagandistica. Credo, perciò, che questo sia il modo di fare satira. Tutto il resto è altro.
di Alessandro Ciccone
Fotografia di A. C.
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