Ignazio Buttitta, il raccontatore della recita popolare e contadina. Ma non tutto era poesia

ROMA - Ignazio Buttitta a venti anni dalla morte. La cultura popolare e il viaggio etno-antropologico. Cultura popolare e storia è un binomio non solo che ha connotati prettamente letterari ma si presenta con delle visioni, sul piano antropologico, che hanno una valenza profondamente radicata nella tradizione della civiltà. La cultura popolare, soprattutto in un contesto di infuriati sradicamenti e continui spaesamenti, è un intreccio di forme folcloriche, di recuperi di identità e di riletture storiche che richiamano un processo che ha un senso revisionista.

C’è una letteratura chiaramente popolare che affonda le radici più che nel contenuto nelle forme espressive. Il linguaggio assume istanze stilistiche ed esistenziali. La lingua infatti  è un codice anche etico che rivive nella sua consistenza umana e nei contatti tra storia e tradizione, tra radicamento e appartenenza. E’ la poesia che maggiormente filtra questo costato del dialogo tra parola narrata e parola recitata. 

Un autore che ha assimilato questo iato in un intreccio stretto tra storia e letteratura è stato Ignazio Buttitta. Morto nel 1997 e nato a Bagheria  nel 1899. Siamo a venti anni dalla morte del poeta che ha intrecciato le parole dell’antropologia.

Un siciliano che ha raccontato l’attraversamento popolare di un’epoca e l’ha raccontato sulla corda del ritmo, dei verso, della rima. Un cantastorie. Forse è stato l’ultimo cantastorie che ha intrecciato impegno civile e impegno morale su una realtà letteraria profondamente incisa nella sua Sicilia. In quella tradizione di linguaggi e di simboli che sono la vita.

Tradizione che si identifica in un modello di riferimenti ora antropologici, ora di costume, ora dialettologici, ora etici. Il poeta che canta è il poeta che racconta la vita che vive attraverso una impostazione anche ideologica della poesia stessa. Forse è proprio il limite di Ignazio Buttitta. Un raccordare il poetico come senso della vita e l’offerta di tradizioni che passano dentro il viatico della passione ideologica. Infatti più che ideologia nel siciliano poeta c’è una profonda passione ideologica. E’ come se tutti fatti vissuti e recitati avessero come filtro una caratterizzazione ideologica.

E’ un bene? E’ un male? Io sono dell’avviso che questa poesia soffre di un afflato che è viziato da certe impostazioni politiche. La poesia non può scendere su questo terreno perché è tutto il contesto che ne risente e ne soffre. Sì la poesia è esplicazione di sofferenza e l’intrusione di una volontaria “manipolazione” di denuncia ideologica la priva di quella tenerezza e purezza che invece costituirebbero l’anima di una libera espressione lirica. Riveste tuttavia una indicazione forte l’esplicazione del rapporto tra lingua e dialetto. Un rapporto che tuttora persiste nella letteratura contemporanea. Un cantastorie è un poeta che recita non solo con le parole ma anche con le immagini. Ovvero le stesse parole diventano immagini.

In questo caso la storia c’è pur non prendendo mai il sopravvento. Perché la letteratura e la storia hanno un altro viatico di comunicazione che si afferma non tanto nella poesia bensì nel romanzo. Ignazio Buttitta è il raccontatore della recita  popolare e contadina. Il popolare e il contadino sono l’asse formale di una retorica che trova un senso in tutta la sua produzione.

Da Sintimintali del 1923 a Lu pani si chiama pani del 1954. Da La peddi nova del 1963 a Io faccio il poeta del 1972. Da Il poeta in piazza del 1974 a Pietre nere del 1983. Una ricca produzione nella quale si evincono gli elementi portanti della sua ricerca: dal paese come centralità dell’esperienza umana al lavoro contadino come testimonianza di trasmissione di radici. Dalla famiglia all’impegno civile. I suoi canti civili, ma si potrebbe dire che tutta la sua poesia è una poesia dalle coordinate civili, sono gli archetipi di un altrettanto impegno politico.

C’è tutto un mondo che si dichiara e che si fa costantemente testimonianza ed esperienza in quella retorica che Pasolini ha raffigurato come “figura retorica del popolo”. Infatti nel 1975 Pasolini scriveva: “La figura retorica del popolo che, in una vampa guttusiana, affolla di pugni chiusi e vessilli le sue poesie, diventa perfettamente reale se vista come inattuale”. In realtà ci sono tutti i connotati e i riferimenti di un poeta che si è lasciato vivere nella retorica dell’ideologia che è diventata passione. Ma la retorica comunque in molte occasioni ha ceduto il passo alla demagogia.

Ci sarebbe molto da dire. E’ chiaro che in Buttitta non tutto era poesia. I canti di piazza lasciavano molto a desiderare. Per esempio nei versi dal titolo: “Parru cu tia” la demagogia imperversa in modo assordante. Ecco:

“Straccia questa camicia rattoppata,
tingila e fanne un pezzo di bandiera,
rossa come la tunica di Cristo,
e torcia sia il tuo braccio ed il tuo polso:
ondeggiala al vento al pugno chiuso:
era rossa la tunica di Cristo”.

Una retorica che diventa fortemente demagogia e perde il più delle volte di quei connotati, il verso, che la potrebbero fare assurgere a poesia. Non tutto è poesia. Non tutto in Buttitta si trasforma in lirismo. Bisognerebbe chiarire con molta onestà quel paesaggio che sembra incardinato in un intreccio di valori. Ma i valori sono superati dall’ideologia. E’ un difetto soprattutto per chi crede che l’ideologia o la politica sono superiori alla stessa letteratura. Un vizio che è la deturpazione di una letteratura che è viaggio e identità.

In modo particolare il rapporto tra letteratura e cultura popolare in un clima ideologizzato ne risente fortemente. Non è concesso a nessuno scambiare la poesia per una rivelazione di messaggi ideologici. La poesia non è verità. E’ segreto che si nasconde tra le pieghe del mistero. E’ mistero che si lascia vivere tra gli scoglie dei segreti. Il resto è soltanto noia.

Cerchiamo di leggere Ignazio Buttitta senza cadere nel vizio, nella mortificazione di una parola che viene ad essere spogliata dalla sua identità lirico – tematica per essere offerta alla mistificazione. La poesia è ben altra cosa. Buttitta va riletto. Ma con attenzione, con serenità e serietà. Va riletto tenendo sempre presente il rapporto tra cultura popolare ed espressione lirica. Non in termini politici ma piuttosto in termini onirici e mitici.

di Pierfranco Bruni

Ricerche Correlate