ROMA - L’Africa com’era. Primi anni Settanta, cronache dal villaggio di Bakua-Lukusa (Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo). Agnes, la sciamana. Ogni volta che andavo nella foresta con mia nonna Agnes, se staccavo una foglia da un ramo senza ragione, lei mi diceva che maltrattavo le piante.
Avevamo un cane e tutte le volte che lo punivo, lei mi diceva che gli animali soffrono come gli esseri umani. S’intende che a sei anni non prendevo minimamente in considerazione i suoi consigli. Un giorno, al villaggio, una donna cadde gravemente malata e la portarono da Agnes perché la guarisse. Ero scioccato nel vedere una malata in casa nostra: non parlava, non si muoveva, era come un fagiolo steso sul letto: per una volta, non riuscivo a fare domande, me ne stavo a bocca aperta a guardare quel che faceva la nonna in una situazione tanto strana. Mi ripetevo: la vita di questa donna dipende da quest’altra donna. La nonna non m’aveva mai detto di essere un medico, una sciamana capace di salvare qualcuno. Chi era, veramente, Agnes? Ecco il mio rovello.
La malata era una ragazza di ventidue anni, ma ero piccolo e la vedevo come una signora. La prima cosa che notai fu che la nonna non si era lasciata prendere dal panico, aveva ascoltato il racconto di una delle quattro donne che avevano portato da noi l’inferma, poi le aveva mandate via. Restammo soli - la moribonda distesa sul letto e io che non mi staccavo da Agnes, che parlava ad alta voce: “Sei venuta da me per essere guarita – diceva alla poverina - io non sono certo Dio Creatore, ma per la sapienza che lui ha dato ai miei avi di ascoltare e parlare il linguaggio delle piante e degli animali posso riuscire ad armonizzare la natura. Appartengo alla stirpe di coloro che l’hanno rispettata e a mia volta rispetto la tradizione e le regole. Lo spirito guaritore mi guida per trovare le piante giuste che potranno aiutarti a tornare tra di noi”.
Terminata l’invocazione, prese una zappa e un machete, li mise in un catino, e mi disse: “vai a chiamare tuo nonno perché faccia la guardia all’ammalata durante la mia assenza”. Ma io non volevo che Agnes andasse da sola nella foresta a cercare le piante e non volevo andare dal nonno per paura di non ritrovarla, insomma, volevo andare con lei. La nonna cercava di dissuadermi in tutti i modi: bisognava camminare a lungo, la foresta non si trovava nei dintorni del villaggio, c’erano le spine, i serpenti... fui costretto a promettere che non avrei pianto per nessuna ragione al mondo e l’accordo fu concluso.
Allora partii di corsa in cerca del nonno, gli spiegai la situazione, lui chiamò due giovani donne e mi rispedì con loro dalla nonna: appena le vide, Agnes si raccomandò che non lasciassero avvicinare nessuno al letto dell’ammalata. Finalmente, partimmo per la foresta. Una volta imboccato il sentiero, la sciamana sussurrò: “ho appena visto un segno positivo nel cielo, questa donna tornerà tra di noi”. La nonna era analfabeta, non sapeva né leggere né scrivere, ma conosceva il nome e le proprietà curative di ogni pianta. Aveva tutto nella mente e seguiva certi segni.
La nonna ‘ascoltava’ le piante. Arrivati nella foresta cominciò a passare da un albero all’altro e prima di incidere con il coltello o usare il machete parlava sempre ad alta voce come per coinvolgere la natura e, contemporaneamente, spiegare a me quel che stava facendo. Aveva tagliato sei o sette specie di piante; dopo circa un’ora e mezzo, eravamo di ritorno. La donna dormiva ancora nella stessa posizione, sembrava un cadavere.
La sciamana entrò nella stanza, prese una delle erbe che avevamo portato, la mise in una ciotola, accese il fuoco, posò la ciotola vicino al giaciglio e mi ordinò di uscire perché il fumo era cosi intenso che un bambino non avrebbe potuto sopportarlo. Rimase sola con la paziente, per guarirla era necessario provocarle la tosse e il fumo serviva precisamente a questo scopo. Se tossiva, significava che era uscita dal coma profondo - non che fosse guarita. Provocare la tosse era una prima tappa, ma la guarigione poteva richiedere giorni, settimane, mesi. C’era anche il pericolo che la donna restasse muta tutta la vita per non rivelare il nome del parente che la voleva morta e creare, così, rancori in famiglia. Notevole è che questa rivelazione avvenisse durante il coma, uno stato in cui si può accedere alla realtà nel suo insieme. Ma torniamo alla paziente di mia nonna: dopo cinque giorni era totalmente guarita. Ci fu una grande cerimonia, la “salvatrice” fu osannata nel villaggio, e io ero fiero di lei. “Ora hai visto che senza le piante quella persona sarebbe morta - Agnes mi sussurrò, un po’ seria, un po’ divertita - conviene trattarle bene”.
di Pia Di Marco
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