Africa Femminile Plurale, di Pia Di Marco. Lavoro delle donne nel Congo belga con Mobutu

ROMA - Villaggio di Bakwa Lukusa,  Kasaï Centrale (Congo belga), una mattina qualsiasi  del 1975. “Non mettiamo i nostri fazzoletti in terra per te, non sei Albert”,  mi dicevano le donne ridendo quando m’affacciavo alla finestra. Erano lì dall’alba, venivano dalle loro capanne per lavorare la terra di mio padre, Albert, il capo del villaggio.

“Io sono più di Albert” rispondevo, e loro si giravano senza cambiare posizione, chine sulle piante, gli occhi ridenti, maliziosi: forse pensavano che fossi un bambino viziato. Eppure, era mio padre a dirmi di rispondere così e io lo facevo con semplicità, senza montarmi la testa, senza l’inquietudine di complessi edipici latenti tanto studiati nella cultura occidentale.

Il rito dei vestiti era suggestivo: quando mio padre camminava, quelle stesse donne si toglievano dai fianchi  grandi fazzoletti colorati e ne facevano tappeti perché lui non calcasse la terra: muovendosi, leggere, mutavano gli ornamenti della loro femminilità in parati da cerimonia ridendo, gioiose, perché il re, se era degno di calpestare i loro vestiti, era pur sempre uno di loro - la comunità era un corpo unico.

Ogni mattina le donne si organizzavano in gruppi. Le portatrici di legna,  di acqua, di mais e tapioca partivano dalle capanne in file variopinte e arrivavano alla nostra casa: figure piccole, all’orizzonte, poi sempre più grandi, aprivano la festa della coltivazione e della mensa comune. Per prima cosa, andavano a salutare Agnes, mia madre, regina e medico del villaggio,  mostrandole le offerte: Agnes rispondeva con un piccolo sorriso lasciando capire che aveva preso nota del tributo.  Finita la cerimonia, le donne entravano in una grande capanna annessa alla capanna del re, dove c’era un fuoco sempre acceso: facevano scivolare dal capo i vasi d’argilla, deponevano le ceste piene di legna, mettevano in comune i sacchi di tapioca e mais che sarebbero diventati farina.  E finalmente al lavoro! era a quel punto che m’affacciavo, ancora pieno di sonno, come un piccolo principe…

Le donne che si occupavano della cucina  non venivano da Bakua Lukusa, erano un gruppo scelto fra i membri della famiglia reale - mogli, figlie e sorelle dei parenti di mio padre che abitavano nelle capanne intorno alla grande capanna reale. Le portatrici d’acqua svolgevano il compito più faticoso, andavano al fiume più vicino, che distava parecchio da Bakua Lukusa , ma se il fiume era secco, dovevano arrivare fino alla sorgente che era parecchie miglia più lontano – tutto, prima che il sole sorgesse, prima che nella terra di Albert e Agnes cominciasse il lavoro.

di Pia Di Marco

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