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Spettacolo di Pippo Delbono a Napoli |
NAPOLI - Dal 26 febbraio al 2 marzo 2025 in scena, al Teatro Mercadante, “Amore” di Pippo Delbono. Sul palco: Dolly Albertin, Margherita Clemente, Ilaria Distante, Mario Intruglio, Pedro Jóia, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Miguel Ramos, Pepe Robledo, Grazia Spinella e Barbara Wahnon, mentre il regista, seduto tra il pubblico, con voce rauca e sincera, muove i fili di una quadratura emotiva della quale ogni spettatore è chiamato in causa, consapevolmente o non. È stato come respirare nel ventre di un grande, suggestivo, doloroso amore. Ci troviamo nella valle dell’inferno: un unico albero piegato. L’Etna è esploso durante i ricordi della narrazione, universo di pause, materia oscura in cui brillano le musiche di Pedro Jóia. Le sue note in chitarra, le vibrazioni acustiche di Miguel Ramos, rompono ogni razionale decodificazione di un lavoro che è pura poesia. Alogico, schizofrenico, asimmetrico, fatto di forza artistica ed energia vitale di rara intensità.
Il Boterismo diventa asse portante della narrazione
Uno spettacolo il cui viaggio parte dal Portogallo e attraversa Angola e Capo Verde; la consulenza letteraria è, infatti, di Tiago Bartolomeu Costa, la responsabilità del progetto di Renzo Barsotti, mentre l’assistenza volontaria in Portogallo di Susana Silverio. Prodotto da Emilia-Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, tocca temi universali dove il mondo geografico non è altro che sinapsi dell’anima. Tutti gli spettatori si sentono connessi. La tensione è tale che ogni suono di cellulare in sala crea un’eco di rimostranze. I nervi del cuore sono toccati in più punti. Molti riferimenti alla pittura, le scene di Joana Villaverde, i costumi di Elena Giampaoli e le luci di Orlando Bolognesi, costruiscono quadri simbolici, momenti in cui il Boterismo diventa asse portante della narrazione, mentre la danza di Matisse è evocata tra gli spiriti lirici di ballerini che si interrogano sulla natura dell’amore. Dicevamo del Portogallo, e ricordiamo che il “Fado” è un genere di musica popolare in questa Nazione, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Barbara Wahnon apre il cuore cantando a cappella
Le corde della chitarra da sole avrebbero già raccontato tutta la “Saudade”, la malinconia di chi è destinato ad amare. “Amare e dimenticare, amare e amar male”. È così grande il mondo ricreato da questi artisti, che lo storico “Teatro del Fondo” non ci è mai apparso tanto piccolo. Il viaggio prosegue in Brasile, in Messico, e sembra fermarsi a Catania con la pandemia. Il regista dichiara che lo spettacolo cammina costantemente tra amore e dolore perché è nato da un lutto, si racconta a noi, per poi salire sul palco lentamente, vestito di bianco, come se portasse il peso di un lungo velo di ricordi. Faticosamente si sdraia a terra su un fianco, rivolto verso il pubblico, mentre l’albero germoglia qualche fiore di speranza: “Sono tornato perché mi hanno dato un posto nel tempo per aspettarti”. Indelebile il contrasto tra l’inizio e la fine. Barbara Wahnon ha aperto il cuore cantando a cappella «Atrás da porta» di Chico Buarque, mentre il finale è cinematografico, per immagini e per voci fuori campo tratte dal film di Tarkovskij “Sacrificio”.
L’ “Amore” di Delbono è la storia del caos
Si, tante cose, tutte insieme, difficili da sviscerare con coerenza, perché resta negli occhi la luce del fondale rosso, permangono nei pori della pelle i versi liberi di Prévert, illuminati da una scarna lampadina, antica come la passione, intermittente come le relazioni moderne raccontate al microfono. Il mondo c’è tutto, nella sua atemporalità, nella fragilità dell’unico sentimento che ci garantisce la sopravvivenza in questo tempo arido. L’ “Amore” di Delbono è la storia del caos che ognuno ha dentro se stesso, è un pennellata nel ritmo del mondo impegnato a risolvere la mortalità attraverso un solo gesto, quello di “Amare ciò̀ che il mare trascina alla spiaggia, ciò̀ che interra, ciò̀ che, nella brezza marina, è sale, esigenza d’amore, ansia pura? Amare l’inospitale, l’aspro, un vaso senza fiori, un suolo di ferro, un uccello rapace. Questo è il nostro destino: amare senza limiti. Amare la nostra carenza d’amore”. Eleganza è l’unico aggettivo compiuto di un’opera non oggettivabile ma solo percepibile.
di Anita Laudando
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