Qualificazione dei rapporti illeciti tra esponenti politici e associazioni di tipo mafioso

ROMA - Mafia e politica. Le protezioni se ci sono e quando ci sono. La qualificazione dei rapporti illeciti tra esponenti politici e associazioni di tipo mafioso possono distinguersi almeno in quattro diverse ipotesi. Ne hanno più volte scritto i giudici negli atti dei processi a cosa nostra degli anni ’90.

La prima ipotesi è quella dell’esponente politico che sia formalmente affiliato all’organizzazione mafiosa e occupi una posizione stabile e predeterminata all'interno della struttura criminale.

La seconda ipotesi è quella dell'esponente politico che, pur non essendo formalmente affiliato all’organizzazione mafiosa, abbia instaurato con essa un rapporto di stabile e sistematica collaborazione, realizzando comportamenti che abbiano arrecato vantaggio all’illecito sodalizio. Alla luce di questi principi, deve riconoscersi che anche in questo caso si è in presenza di una condotta di partecipazione all’associazione di tipo mafioso, poiché lo scambio di favori ripetuti nel tempo tra l’organizzazione criminosa e colui che sia divenuto un suo referente politico abituale e goda del suo sostegno elettorale si risolve in un continuativo contributo, rilevante sul piano causale, all’esistenza e al rafforzamento dell’illecito sodalizio. In simili casi tra l’uomo politico e l’organizzazione mafiosa viene a instaurarsi un rapporto clientelare di scambio stabile, continuativo e fortemente personalizzato, che presenta una valenza di cooperazione e di vantaggio reciproco, e implica di fatto il riconoscimento di un ruolo dell'uomo politico in termini di espletamento sistematico di prestazioni di vario genere, legate direttamente o indirettamente alla sua particolare posizione, in favore del sodalizio mafioso, interessato ad acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, appalti e servizi pubblici, oltre che a sfruttare qualsiasi vantaggio derivante dall'esercizio dei poteri pubblici. Il movente autonomo dell’uomo politico che sta a fondamento del rapporto di scambio si intreccia e si confonde con le finalità associative; l’uomo politico, infatti, finisce con il perseguire anche la realizzazione degli scopi dell'illecito sodalizio e dimostra di condividere, orientandola a proprio vantaggio, la logica intimidatoria dell’associazione mafiosa.

La terza ipotesi è quella del candidato che, per la prima volta nella sua carriera politica o comunque in modo occasionale, contratti con esponenti dell’associazione mafiosa il procacciamento del voto degli affiliati e la coercizione del voto altrui, in cambio dell’offerta di sistematici favoritismi verso l’organizzazione criminale. Il patto stipulato da un candidato con un’organizzazione di stampo mafioso, al fine di ottenere consenso elettorale in cambio della promessa di agevolare chi gli assicura l’elezione è suscettibile di integrare gli estremi di una partecipazione all'associazione criminale. Questa soluzione resta valida sempre che possa in concreto ravvisarsi un nesso causale tra la conclusione del suindicato patto e il consolidamento dell’illecito sodalizio. A elezione avvenuta, è configurabile una condotta di partecipazione consistente nella seria manifestazione di disponibilità in favore dell’associazione mafiosa. Non può, infatti, disconoscersi che l’impegno, assunto dal soggetto, di favorire politicamente in modo permanente l’organizzazione criminale nel corso del proprio mandato, laddove gli associati possano farvi concreto affidamento (in relazione al positivo esito della competizione elettorale, all’atteggiamento tenuto dal candidato, e alle gravi conseguenze cui egli andrebbe incontro qualora non osservasse il patto anteriormente concluso, suscitando la prevedibile reazione violenta dell’associazione mafiosa), integra un significativo contributo idoneo al rafforzamento dell'illecito sodalizio. L’accordo avente a oggetto lo scambio di favori reciproci, qualora sia accompagnato e seguito da circostanze tali da lasciare ragionevolmente prevedere che esso troverà attuazione concretizzandosi in una sistematica collaborazione, rappresenta un fatto di per sé idoneo a ingenerare negli associati una fondata fiducia sulla loro possibilità di condizionare a proprio vantaggio l’attività della pubblica amministrazione; una simile situazione appare effettivamente suscettibile di potenziare la capacità di inserimento dell’associazione mafiosa nel tessuto sociale, di favorire nuove affiliazioni, di incentivare l’espansione delle attività illecite del sodalizio criminoso. Il condizionamento della pubblica amministrazione rientra nell’ambito dei compiti che normalmente vengono svolti dall’organizzazione mafiosa, sicché la seria disponibilità ad attivarsi in tal senso, con l’assunzione del relativo ruolo, è riassumibile nella fattispecie della partecipazione (invece che in quella del concorso esterno).

La quarta ipotesi in cui possono manifestarsi i rapporti tra esponenti politici e associazioni di tipo mafioso è quella di episodiche condotte compiacenti, concretantisi, a esempio, nella concessione di singoli favori. Simili comportamenti, rientranti nel concetto di "contiguità mafiosa" (intesa come compiacente vicinanza derivante da condizionamenti di natura socio-culturale o ambientale), non integrano gli estremi della partecipazione all'associazione di tipo mafioso. Essi, tuttavia, possono ricondursi alla diversa fattispecie del concorso esterno nell'associazione di tipo mafioso qualora si risolvano nella effettiva realizzazione di almeno un apporto che abbia causalmente contribuito alla conservazione o al rafforzamento della struttura criminale (anche in uno specifico settore), consentendole di superare una situazione di anormalità. La punibilità dei predetti comportamenti è, comunque, subordinata in concreto alla mancanza dei presupposti richiesti per l’applicazione di immunità penali ovvero di cause di giustificazione previste dall’ordinamento giuridico.

di Giuseppe Rapuano

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