Il poeta-naufrago Pierfranco Bruni fanciullo, con i pantaloni alla zuava, ne "La favola infinita"

ROMA - E’ della Poesia catturare il Mistero per scrutarlo con occhi di stupore e contemplarne il Segreto. C’è uno spazio in cui l’anima ama ritrovarsi. Il poeta lo cerca, lo sceglie e lo vive. Questo spazio si chiama verso. Lì abita il poeta. Il poeta Pierfranco Bruni che ha ha pubblicato recentemente "La favola infinita" per la preziosa casa editrice Macabor.

Serrato nella corolla di un fiore, il polline custodisce la vitalità stessa della pianta, così, cesellato nei piedi di un verso, il canto poetico nasconde la sua arcana malìa. Nel suo cammino e tra i suoi “appunti di viaggio” Bruni poeta lascia cadere briciole di verità, che non portano alla dolcezza della casa di marzapane nel bosco, ma nel laborioso e labirintico formicaio delle memorie del sottosuolo.

Quella che lui racconta è una storia che viene da lontano, ha echi di paese, di un paese che ha l’alito del vento e di cui non sa “più ora raccogliere i frammenti”. E tra questi versi lo si incontra fanciullo con i pantaloni alla zuava, le ginocchia sbucciate e occhi carichi di futuro. Se c’era una volta un bambino che correva in via Carmelitani e dal balcone lanciava “occhiate furtive”, ora c’è un poeta che raccoglie i “frantumi d’infanzia sulle mani rugose “di un padre, mai perso nel cuore e nei versi, come “in un volo d’aquila”.  Perché un Paese te lo porti nell’anima e questo Bruni lo sa, quando del paese segue il profilo, come fosse quello di un’amante, che sa “inventare sogni diversi”, quando in una suggestiva sinestesia ne sente l’odore di terra e ne guarda la discesa a mare del crepuscolo. Mare e Terra, Infinito e Finito, onde e zolle plasmano l’umano sentire di Bruni, ragazzo di paese, che porta nel “cavo della mano…umidi ricordi”, pronto ad andare via sapendo, come direbbe Pavese, che “nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

Il poeta Bruni non ha mai lasciato quella via, né ha smesso di inventarsi battaglie navali nella vasca del giardino paterno, perché “era bello giocare in via Carmelitani”, confessa nel racconto dall’omonimo titolo, in “Barchette di carta”, piccolo Zibaldone dei suoi pensieri apulo-calabresi. La scrittura è confessione! Questa verità, intuita con forza dalla filosofia penetrante di Maria Zambrano, è fatta propria dal poetico sentire bruniano.. E Bruni quando scrive, si confessa. “Tutti lasceranno il tempo e il paese. Ce ne andremo ad uno ad uno, soli nella sera, muti ad ascoltare il passo del viandante che ha perso il presente e vive di passato. Saremo come questo viandante”.

Il poeta-viandante è partito, ma non ha dimenticato i colori, gli odori e le voci di quel paese, ha custodito nella sua bisaccia il fascino della sua terra, con ironia, come le donne di San Lorenzo  fanno con sapienza antica. “Era bello il paese al tramonto. Quei tramonti mi catturavano. Davano luce al paesaggio… Il paese sembrava racchiuso in una conchiglia e l’eco di questa regalava sogni antichi e voci che più non dimentico”. E’ questa la tramatura delle emozioni che sigilla la prosa e la poesia del Bruni della prima maniera in un “gioco infinito di parole” che diviene “Gioco di memorie”, come il titolo ricorda nella seconda sezione di questa miscellanea di poesie. Alla calda Terra, protagonista amata e mai ripudiata, della prima parte della silloge, segue la figura appassionata e appassionante della Donna, ora cercata e attesa,  poi allontanata, per essere ancora, dopo poco ricercata e desiderata in un gioco di sì e no che chiude il seducente “gioco delle malinconie”.

Una “girandola di parole” che sembra vicina al “volo di girotondo” di un’altra raccolta-dichiarazione di amore all’Amore, “Ti amerò fino ad addormentarmi nel rosso del tuo meriggio”, scrigno prezioso di emozioni, firmate sempre da Bruni. E’ come se un filo madreperlaceo di rugiada poetica attraversi la tramatura della poetica bruniana che dall’età giovanile a quella matura conserva nella varietà tematica, la Terra- la Donna-la Madre, una omogeneità di sensibilità, che si raffina nella ricerca lessicale, sempre asciutta e mai ripetitiva e nel verso ora breve, poi lungo per intuire o raccontare i frammenti di una esistenza.

Eppure, “non verrò all’appuntamento di stasera”, sentenzia quello stesso ragazzo, svegliatosi uomo, non più nella sua Calabria, ma per le strade del mondo, come per professione e per passione da sempre fa Bruni, innamorato di una sola donna: la POESIA. Nascono, così, da “i travagli della fantasia” rivoli impetuosi di versi frantumati da pause, enjambements, che si fanno l’occhiolino, nel loro strozzare l’andatura ritmica e scorrere da un verso all’altro, come le fiumare calabre tra rocce, tra arsure del terreno, ciottolose nel loro letto e impetuose nella loro intensità, per poi irrompere e quasi riposare nel verso onirico in cui fioriscono anemoni e volano farfalle. Proviamo, allora, a seguire il poeta in questo suo andare “Oltre”; il viaggio è necessario, lui lo sa, e lo affronta, invitando quasi il lettore a acquisire la sua consapevolezza: la necessità di andare “oltre” la siepe, perché “è di là/ dalla finestra/ che tutto/ si compie”.

L’Oltre è scrutato leopardianamente nell’attesa o nelle “attese” che “diventano brughiere di fuoco”, per un marinaio, che, senza mai aver paura di perdere la rotta confessa “navigo/ questo azzurro cielo/ tinto/ di silenzio”. In questo cammino un uomo non può essere solo, ma con l’amata-amante;  i due “sorpresi dalla marea” percorrono un cammino che non conoscono fino in fondo, ma che risale alle primigenie vie della Passione amorosa.

“Spesso / sul tuo corpo/ ho toccato/ anemoni e farfalle” , era questo l’Eden perduto e ritrovato come un paradiso terrestre, che si fa corpo, per ricoprire di carni e “passioni mai sconfitte” l’ideale e eterno femminino del desiderio. Anche gli amori, tuttavia, sono sorpresi dal Tempo, che sembra raggiungerli e trovarli ancora “immaturi” tra partenze che “feriscono” e sogni che “muti e soli se ne vanno”, tra “i vicoli del tempo” e gli “spigoli della notte”. Bruni qui si ferma e non fa crescere questo amore, forse perché lascerà alla donna di nuvole e di vento, la sua Asmà, il canto sublime e inviolabile per Shadi, “ se tu questa notte/ resti nel mio abbraccio/ l’amore/ respirerà l’eterno”. L’uomo Bruni in un’età più matura, sfoglia “nel calendario / della morte”, sorpreso dal naufragio di Kronos, “tempo che ferisce/ ogni attesa”, lima il suo verso con una amara consapevolezza nell’ultima sezione “Nelle solitudini della sera”. Si ferma compunto e commosso davanti alla palma invecchiata del Giardino della sua Vita, divenuto il “giardino delle ore spezzate”.

I caffè, condivisi con la Madre, sorseggiati dolorosamente nella raccolta “Alle soglie della profezia”,  tornano in “un caffè/ in attesa/ del chiaro/sui gerani. Si attende la Claritas, quando “ogni tempo vissuto è già vissuto”, ma i gerani restano vivi nel giardino dei ricordi. Niente è più poetico della rimembranza… e in essa Bruni ritrova il suo Mistero-radice. La favola dannunziana degli amanti si è innalzata dinanzi alla Madre, in una rinnovata preghiera a Lei, Mater dulcissima, invocata con le parole “madre mia”, per suggellare nella sede forte del verso l’appartenenza dell’uomo al suo sacrario di Vita. La Madre-Ombra aleggia sui versi e “nel cerchio/delle solitudini/ che vivono” nell’anima del Figlio, che avendola persa nella schermaglia con la Morte, in un pomeriggio di settembre si raccoglie nella poltrona di lei, oggetto-memoria-incontro, per ritrovarLa e ritrovarSi  , come una reliquia nei “fiumi” di ungarettiana memoria. E’ solo quello con Lei “un appuntamento fedele”, perché come il verso svela: Lei è unicità del Destino nella “geografia dell’oltre”! Nelle sera e nelle sue solitudini, la Poesia danza e rinnova la sua nenia, per cui l’Ombra danza e anima la sua Maria-Lazzarella, fresca “ventata ‘e primmavera”, con la leggera camicetta a fiori blu e i libri sotto il braccio, sfocati in quella onirica ricerca di Assoluto della “stanza settima”.

In questo labirinto di affetti e sentimenti, incastonati in una “infanzia infinita” il poeta-naufrago Bruni non si è mai perso, troverà la sua zattera, chi saprà leggere il suo verso, incantato dallo sguardo di Calipso tra le colorate bancarelle del mercato, che ancora oggi, ogni martedì anima di voci quella che fu Via Carmelitani, la via di donna Maria Caracciolo in Bruni. Lì brulica una Favola Infinita…“nel profumo di cipria e di violetta”.

di Marilena Cavallo (autrice della Prefazione al libro).

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