Homo faber e sopravvento sull’homo sapiens, teatro diverso a Pompei

de rerum natura there is no planet b
De Rerum Natura There is no planet B

NAPOLI - Dal 27 al 29 giugno 2024 nel Teatro Grande di Pompei, nel corso della settima edizione della rassegna estiva Pompeii Theatrum Mundi, è andato in scena, in prima nazionale, “De Rerum Natura – There is no planet B”. Prodotto dal Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, liberamente ispirato all'opera di Tito Lucrezio Caro, drammaturgia di Fabio Pisano, adattamento e regia di Davide Iodice. “Alla memoria della dottoressa Annamaria Ciarallo, botanica”. Iodice ha sentito profondamente la responsabilità di creare uno spettacolo da ambientare agli scavi di Pompei, luogo a lui caro per vicende personali. Lo immaginiamo conversare con Fabio Pisano per chiedergli di scrivere un testo non esattamente teatrale, proprio perché ispirato al De Rerum di Lucrezio, per poi orientarsi tra pagine e pagine di versi che spaziano tra linguaggi e tematiche concordate. La violazione della natura viene descritta in sei quadri compiuti. Bisogna “saper oscillare e sopravvivere alle tempeste”.

Momenti dalle forti tinte beckettiane

L’attenzione del pubblico è alta, nonostante il caldo asfissiante: Carolina Cametti è in equilibrio come fosse lei stessa i rami di una sequoia. “L’uomo è la specie del dopo, dopo arriva la colpa, la colpa di sentirsi in colpa”. La coralità la fa da padrona in molti raccordi, ma Aida Talliente è di spicco assoluto in più ruoli (la Natura, la prima donna di Lesbo e Mamma Orsa). In scena l’attualità disarmante di Greta Thunberg, Giorgia Vasaperna, Julia “butterfly” Hill. Notiamo momenti dalle forti tinte beckettiane, quali la dinamica tra il bracciante (Wael Habib) e il caporale (Giovanni Trono) che rimanda a Godot, nelle forti e volute didascalie sia scenografiche sia drammaturgiche, nella declamazione esplicita di una vita che è fine a se stessa se non si com-prende la parola Futuro. La regia firmata da Iodice non poteva che essere poetica, MariaTeresa Battista è Venere e pneuma, luce e ombra fra scene e maschere di Tiziano Fario, accanto ai corpi vestiti da Daniela Salernitano, dentro alle suggestioni visive di Loic Francois Hamelin.

L’onnipervasività diventa una marcia trionfale circolare

È un lavoro che parla di politica e moralità, dell’homo faber che prende il sopravvento sull’homo sapiens, negando, spesso, l’etica necessaria dovuta alla verità (sacra) di un mondo già dato in cui ci troviamo originariamente immersi senza possibilità di scelta. Tanti, tanti spunti, forse troppi, bandiere che cadono come alberi, pecore chiuse in gabbia, vittime, evidentemente, anche loro della crudeltà della spettacolarizzazione, simboli religiosi che talvolta invadono. E così, l’onnipervasività diventa una marcia trionfale circolare. Un circo, appunto, dell’essere umano come specie decadente. Ilaria Scarano, autentica nei panni di Greta ci risucchia in questa centrifuga dell’esistente, auspicando la salvaguardia della specie terrestre e della sua madre terra, insieme con Orchestrìa (formazione musicale di percussioni creata nell’ambito del progetto speciale di musica inclusiva dell’associazione FORGAT ODV all’interno della Scuola Elementare del Teatro – Conservatorio Popolare per le arti della scena) siamo pronti ad accettare che dietro a ogni catastrofe c’è una grande verità: “le macerie sono tutte uguali”.

Immagine guida il paradosso di un orso polare accaldato sulla terra ferma

E allora, che a una a una, si accendano le stelle del firmamento, Ricominciamo. Tra le musiche originali di Lino Cannavacciuolo, le visioni oscillano tra antico e contemporaneo, tra sogno e realtà, “cortocircuitano” fra le colpe ancestrali di quella che viene presentata come una specie aggressiva ma che sa ancora provare empatia, perché “chi piange sa riconoscere il pianto”. Questo lavoro parla anche di maternità e di dignità. Va visto più volte e lo faremo. Lo merita. Abbiamo chiesto al regista quale sia stata l’immagine irriducibile di tale folla di spunti scenici e la risposta è stata coerente con la bellezza indiscussa del finale: “Mamma orsa è stata la prima visione che ho avuto. L’immagine guida è stato il paradosso di un orso polare accaldato sulla terra ferma… un grottesco orso con il ventaglio, poi il ventaglio è passato al ministro interpretato da Sergio Del Prete…”. Per dirla con il filosofo Hans Jonas, cogliamo sia il destino dell’artista sia quello delle cose del mondo, quando, attraverso la produzione dell’opera d'arte, l’agire umano oltrepassa il mondo artificiale e può ritrovare la sua dimora. “Esiste una sorta di <responsabilità> del genio per la sua opera, difficilmente afferrabile, e che si impadronisce imperiosamente di colui che è dotato o tormentato dal talento. Quel che in essa può essere contenuto in qualità di <dover essere>, diventa per lui una necessità che fa dimenticare tutto il resto”. Ritorneremo dal 6 al 16 marzo 2025 al Teatro San Ferdinando, con la speranza che non sarà più necessario mostrare lo striscione “Cessate il fuoco”.

di Anita Laudando

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