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I protagonisti de Le anime morte. Ovvero le [dis]avventure di un onesto truffatore |
NAPOLI - Le anime morte. Ovvero le [dis]avventure di un onesto truffatore. Le avventure di Čičikov, ovvero le anime morte, ovvero la truffa mal riuscita di un uomo che a metà Ottocento attraversa la Russia, e cerca di comprare, a buon mercato, nomi di contadini già morti, così da ottenere l'assegnazione di terre, concesse nell’Impero zarista solo se possessori di servi della gleba: "Quelli vivi si prendono e si comprano e perché non possono vendersi pure i morti che nemmeno se ne accorgono?!" Il romanzo scritto da Nikolaj Vasil'evič Gogol' nel 1842 e tradotto in Italia negli anni ’80, prevedeva tre parti, ma della seconda restano solo alcuni brani e la terza non fu mai scritta. Eppure la compiutezza della trasposizione teatrale diretta di Peppino Mazzotta, ha messo in luce la traccia profonda lasciata dall’ artista russo in Italia. Il dialogo tra i due mondi letterari è aperto da sempre, tant'è che l’opera fu scritta con l’intento di riprendere il modello dantesco.
Le contraddizioni di una società ancora fortemente attuale
L’autore fu considerato un genio della letteratura già quando era in vita, per la sua modalità di alternare romanticismo e realismo, ma anche per l’astuzia letteraria di smascherare i mali della società attraverso il più efficace dei correttivi: il riso. Mazzotta sintetizza e riepiloga questo colore intenzionale, e mette sulla scena le contraddizioni di una società ancora fortemente attuale con la sua morale da parata e le sue tournée di inganni mondiali, e proprio come l’amato romanziere dell’Est, mostra le assurdità della burocrazia e l’anima nera dei funzionari al potere, senza però incitare alla rivolta sociale, ma con tolleranza invita lo spettatore a una riflessione universale. Prodotto dai Teatri Nazionali di Napoli e del Veneto e presentato in prima nazionale al San Ferdinando di Napoli, Le anime morte. Ovvero le [dis]avventure di un onesto truffatore custodisce la sua piena essenza di classico. In scena dal 3 fino a domenica 13 aprile 2025.
Sul palco un pezzo di contemporaneità in contrasto con i costumi antichi
Mazzotta dichiara apertamente: «Oggi che si fanno discorsi di geopolitica e di economia senza considerare l'umanità sulla quale andranno a impattare è più o meno la stessa cosa che contrattare il prezzo dei morti». Federico Vanni, è una simpatica canaglia, imbroglione d'alto borgo, riesce a far valere le sue ragioni con voce, mimica e personalità. Tanta. Lo si adora sulla scena, ma in questo nessuno è da meno: Gennaro Apicella, Raffaele Ausiello, Gennaro Di Biase, Salvatore D’Onofrio, Antonio Marfella, Alfonso Postiglione, Luciano Saltarelli, e l'unica, potente presenza femminile di Milvia Marigliano. Il libero adattamento si è avvalso della collaborazione di Igor Esposito, mentre le scene, decisamente non classiche di Fabrizio Comparone, hanno portato sul palco un pezzo di contemporaneità in contrasto con i costumi antichi di Eleonora Rossi. Inizialmente spiazzante, il gioco ha funzionato.
Una performance sottile e grottesca
Vedere a esempio, il ruolo di Postiglione accomodarsi vestito elegantemente in doppiopetto su una sedia in legno tipica delle nostre scuole, è sembrato stonasse, finché non è arrivato in scena lo smoking color viola, abbinato a maglia e calzini dello sfortunato colore. E allora anche i picchi volutamente dialettali di Salvatore D’Onofrio, e i contributi digitali di Antonio Farina risultano essere una protesta agli eventi narrati. Una performance sottile e grottesca che la sera della prima ha dato un lungo applauso a scena aperta per il Nozdrev interpretato da Raffaele Ausiello; l'unico personaggio che nella sua ubriachezza ha il coraggio di dire la verità. L'unico uomo fuori dalla giostra dell'ipocrisia, che non ha nulla da perdere né da nascondere. Abbiamo visto la Russia e le sue fredde terre attraverso di lui. Abbiamo visto noi stessi e la nostra incoscienza anche - attraversati - dalle musiche di Massimo Cordovani, che hanno accompagnato i diversi piani della narrazione con intensità e ironia.
Che ti metti a firmare così su due piedi senza ragionare un poco
Un materasso di plastica pieno d’aria, una giostra circolare che diventa un’aula di tribunale, ubriaconi, gente composta e spazi ampi. Atmosfere oniriche e grottesche puntellate dalle luci inconfondibili di Cesare Accetta, di cui resta particolarmente cara la penombra della casa di Karoboka. Con pochi elementi abbiamo immaginato la campagna e il portone e il freddo e l'affare fiutato e la malizia di ogni uomo che crede di essere più furbo dell'altro. "Io questi contadini ve li regalo e ci pagherò anche le tasse come si fa tra uomini per bene. È una cosa da niente!". L'importante è fare tutto secondo le regole e in carta bollata. Non c'è classe sociale che tenga, non c'è luogo della terra in cui non valga la satira a cui abbiamo applaudito. Noi, che dalla platea agitiamo le mani, proprio noi a cui, per pochi istanti, il protagonista sembra parlare direttamente. Noi, che proprio come la "povera vedova" cerchiamo l'affare a ogni costo: "Che ti metti a firmare così su due piedi senza ragionare un poco?! Mi ha fregato! Cretina che sono! Adesso corro in città...io lo devo sapere a quanto vanno i morti!".
di Anita Laudando
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