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Le attrici e gli attori de I Tre Moschettieri - Opera Pop |
BOLOGNA - Intrighi, balli, duelli, esecuzioni. La Parigi del Seicento irrompe sulla scena al Teatro EuropAuditorium di Bologna con il musical I Tre Moschettieri - Opera Pop. Direzione artistica e regia di Giuliano Peparini. Produzione di Stefano Francioni Produzioni e Teatro Stabile d’Abruzzo. Lo spettacolo infonde nuova linfa vitale al modello principe, l’omonimo romanzo di Alexandre Dumas, che viene rimaneggiato in chiave musicale. Il dialogo con l’originale è portato avanti in maniera, allo stesso tempo, intraprendente e ossequiosa. I testi di Alessandro Di Zio, per quanto non raggiungano le vette della perfezione, rasentate dal Dumas nella sua opera, si distinguono per la loro semplicità icastica che, sposandosi con le note delle musiche a cura di Gio’ Di Tonno, restituisce al pubblico una vicenda nota con vesti nuove. Non è Parigi, però, il punto di partenza, bensì una fabbrica.
La scena subisce una metamorfosi istantanea
Giungo in sala, il sipario è già aperto. I minuti passano, ma non accenna a chiudersi. Una spoglia impalcatura giganteggia. Pochi minuti prima dell’orario d’inizio, le 16 di sabato 5 aprile 2025, la scena si popola di operai, che si mettono al lavoro. Trascorrono il loro tempo dialogando con scatoloni e ferraglia, come in una qualsiasi giornata lavorativa, finché un elemento stravolge l’alienante monotonia. Ex abrupto compare un libro. Si tratta de I Tre Moschettieri di Alexandre Dumas. Uno di loro lo nota, lo afferra e inizia a sfogliarlo. Sarà lui, Roberto Rossetti, a narrare la vicenda, impersonando proprio il Dumas. Con un espediente quasi manzoniano, quindi, la scena subisce una metamorfosi istantanea. Attraverso una delle coreografie, eseguite dai ragazzi della Peparini Academy Special Class, coordinati in toto da Veronica Peparini e Andreas Muller, siamo tra le rues della Parigi seicentesca, in cui è appena giunto un giovane guascone:
La lotta per il potere a Parigi è spietata
D’Artagnan, interpretato da Sea John. Questi è nella capitale del regno per entrare a far parte dei moschettieri del re, Luigi XIII. Qui, per una serie di contingenze fortuite, s’imbatte in vari individui, tra cui Rochefort (Leonardo Di Minno) e colui che diverrà suo servo, ossia Planchet (Gabriele Beddoni). L’incontro più importante è, senz’altro, quello con i Tre Moschettieri, Athos (Gio’ Di Tonno), Porthos (Vittorio Matteucci) e Aramis (Graziano Galatone), con cui si troverà, nell’incedere della narrazione, a fronteggiare innumerevoli peripezie. Difatti, la lotta per il potere a Parigi è spietata. Personalità mefitiche, quali il Cardinale Richelieu (Cristian Mini) e la perfida Milady (Camilla Rinaldi), si stagliano sulla scena, ordendo losche trame per raggiungere i propri scopi. Una delle macchinazioni di Richelieu è scoperta da D’Artagnan, grazie alle parole di Costanza (Beatrice Blaskovic), fanciulla di cui il guascone è innamorato, fedele servitrice della regina Anna d’Austria.
Le parti in ombra permettono, per contrasto, a quelle chiare di rifulgere
Il Cardinale intenderebbe provocare una spaccatura in seno alla famiglia reale, così da scatenare una guerra. Per fermarlo, i Tre Moschettieri e D’Artagnan partono alla volta di Londra. Il viaggio, però, si rivela più ostico del previsto. Persi i compagni, con cui si ricongiungerà più avanti, solo il giovane, infatti, riuscirà a toccare le sponde dell’Inghilterra. Evitato il peggio, la trama s’infittisce, tra morti tragiche e colpi di scena, sino ad arrivare all’esecuzione con cui si conclude lo spettacolo. L’attualità dell’opera è tangibile. I temi che la attraversano prescindono dal tempo e dallo spazio, collocandosi in un panorama universale, che consente al pubblico di riflettere sulla contemporaneità. Le parti in ombra permettono, per contrasto, a quelle chiare di rifulgere, così da realizzare un chiaroscuro funzionale a rappresentare al meglio la realtà. L’anarchia del potere, di pasoliniana memoria, flagella i più deboli. Le avide volontà del singolo, o di pochi, troneggiano sulle vite dei più umili.
Il celeberrimo “Tutti per uno, uno per tutti!” è l'essenza dell’amicizia
Qualsiasi genere di scrupolo è assente, l’humanitas, intesa come solidarietà, latita. Le vere e proprie colonne portanti, tuttavia, sono altre, le più classiche, ma mai banali: amore e amicizia. L’amore, quello tra Costanza e D’Artagnan, si carica delle più eterogenee implicazioni, riecheggiando i τόποι per antonomasia delle vicende amorose, come la distanza dall’amato, e divenendo, da un certo momento, uno dei motori dell’azione. Il celeberrimo “Tutti per uno, uno per tutti!” racchiude, poi, l’essenza dell’amicizia. Un’amicizia che lega, oltre il sangue e l’estrazione sociale, intesa come comunità di intenti. Di intenti nobili, non utilitaristici. Un rapporto che presuppone una disposizione d’animo volta alla collettività prima che al singolo individuo, in cui l’uno e la totalità si fondono sino ad essere indistinguibili. Questo è, dunque, il messaggio su cui dovremmo fermarci, sostare fino ad acquisire la consapevolezza necessaria per tentare, uno ad uno, di ripartire.
di Alessandro Ciccone
Fotografie di A. C.
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