NAPOLI - Il teatro ha la capacità di raccontare storie attraverso il canale delle emozioni. È stato così per lo spettacolo Medea, in scena al Tin - Teatro Instabile di Napoli - il 22 e il 23 settembre scorsi. È un ambito multi e interdisciplinare che non conosce cesure accademiche, in cui davvero si riesce a fare dialogare la storia con l'antropologia; la psicologia con la sociologia e poi con le arti visive. È uno spazio libero di riflessione dove possiamo nutrire la nostra voglia di scoperta e di riscoperta, il nostro senso critico e rinfocolare il nostro stimolo a imparare al di fuori della routine quotidiana, che spesso ci costringe, in una corsa contro il tempo, a rispettare ruoli talvolta troppo stretti per riuscire a esprimere le mille sfumature della nostra personalità.
Lo spettacolo Medea, messo in scena con la regia di Gianmarco Cesario al Teatro Instabile di Napoli, è doppiamente suggestivo: per il tema e per il modo di trattarlo e anche per la location. Prima adibita a chiesa, poi a segrete di Palazzo Spinelli, si tratta di una struttura allocata in un ipogeo nel cuore della terra partenopea, cui Gianni Sallustro con vigore tenace e professionalità ha dato nuova vita e un nuovo volto, nonché la possibilità a tanti giovani e giovanissimi di sperimentarsi nell'arte teatrale.
Gianmarco Cesario condensa l'opera di Euripide e di Seneca, volgendo lo sguardo al mondo greco e a quello latino.
«Volevo parlare del personaggio di Medea - evidenzia il regista - ma avevo bisogno di almeno due punti di vista per poterlo fare, ricavando la mia personale visione. Ho scelto tra le varie possibilità Euripide, non a caso il nome di Giasone è pronunciato alla greca, e lo sguardo di Seneca».
Come ribadisce Cesario, nell'opera euripidea emerge una maggiore empatia per il personaggio di Medea, ma il vero eroe, seppur criticato, tale da diventare una sorta di antieroe, è Giasone.
«Gli eroi dei miti e delle tragedie - chiarisce il regista - non sempre sono tali perché destinati a fasti e gloria. Spesso sono tracotanti, il loro vizio è la hybris, e subiscono una punizione anche feroce dagli dei».
Nella versione senechiana, Medea è meno presente ma il suo personaggio - seppur rappresentato come demoniaco perché vittima delle passioni, qualcosa da rifuggire per uno stoico - con la sua dirompenza assurge ben presto a vero fulcro della narrazione. Giasone ammette la sua debolezza, nel chiedere scusa alla moglie, dichiarandosi vittima delle scelte altrui, cui non ha saputo e potuto opporsi. Medea, invece, è forte, determinata fino alle estreme conseguenze, consapevole della sua cultura, del suo pensiero controcorrente, del suo padroneggiare le arti magiche, che all'epoca costituivano la più grande fonte di sapere da cui in seguito sarebbe nata la medicina.
È lei a sfidare il Pantheon maschile con sfrontatezza. Nella versione di Seneca, come spiega il regista, il coro è misto, perché a Roma il palco non era interdetto alle donne, ma sia uomini sia donne sono ostili al personaggio. In Euripide il coro è prettamente femminile: le donne sono le uniche a solidarizzare con Medea, anche se non riescono a tradurre la loro solidarietà in azione e ad opporsi allo strapotere maschile.
«Euripide - chiarisce Cesario - è un drammaturgo, che vuole raccontare una storia per emozionare e coinvolgere il pubblico, introducendo anche degli espedienti narrativi per sostenerne l'impianto, mentre Seneca è un filosofo che riflette sui grandi temi della vita, ricorrendo allo strumento narrativo del teatro. Questa differenza di prospettiva è fondamentale».
Sul palco si alternano con grande forza e ritmo attori di lungo corso, come i bravissimi Rosalba Di Girolamo, Gianni Sallustro, Nicla Tirozzi e Ciro Pellegrino, che imprime a al suo Creonte una particolare impronta caratteriale, e giovani ancora in formazione che si sperimentano e che sono fortemente sostenuti da chi ha più esperienza di loro. Si tratta di Tommaso Sepe, Stefania Vella, Nancy Pia De Sinone, Roberta Porricelli, Noemi Iovino, Carlo Paolo Sepe, Lucia Saviano, Sara Ciccone, Domenico Nappo, Enrico Annunziata, Giovanni Menna e Rachele Ambrosio.
«Si tratta di attori giovanissimi tra i 16/17 e i 23 - rivela il regista - guidati nella loro formazione da Gianni Sallustro. Alle ragazze del coro ho voluto dare delle battute individuali, affinché non rimanessero una voce indistinta. Precedentemente ho dato loro il compito di descrivere il proprio personaggio e il peculiare stato d'animo, in maniera tale che se lo immaginassero».
Le donne e gli uomini sono vestiti di nero, con una caratterizzazione diversa. Il nero muliebre, infatti, rimanda a una perdita di sogni, di speranze, persino dell'identità. Sono a lutto per la perdita di sé stesse. Sul versante maschile, l'assenza di colore ribadisce l'affiliazione al potere costituito, una sorta di connotazione elitista.
«Mi sono immaginato gli uomini - racconta ancora Cesario - come dei moderni 'bravi', come dei delinquenti. I testi sono fortemente contemporanei, in maniera sorprendente. Io ho solo evidenziato alcuni temi».
Il linguaggio, pur fedele all'originale, è reso in maniera moderna. La rilettura è frutto di un'operazione di taglia e cuci tra le due versioni e in poco più di un'ora riesce a restituire tutta la potenza di una narrazione che coinvolge e tiene avvinto un pubblico trasversale, non soltanto quello degli appassionati del teatro antico e degli amanti delle riletture concettuali. A essere travolto emotivamente dalla rappresentazione, quindi, è anche un target atterrito dalla prospettiva di una donna che, emarginata e privata dei punti di riferimento, scivola nella pazzia, colta da passione bruciante e irrazionale, come ella stessa ammette, ma anche da tracotanza.
«Passaggi molto cruenti - spiega il regista - sono stati introdotti da Euripide, come per esempio lo snodo narrativo secondo il quale lei sarebbe l'efferata artefice dell'omicidio dei figli, aspetto di cui non vi è traccia nelle narrazioni precedenti. Questa scelta è funzionale a dare ritmo alla scena, per assicurarle un cambio di passo, nel rispetto della regola che vede il bene contrapporsi al male, il protagonista all'antagonista. Anche nel teatro contemporaneo ci vorrebbe una regola, ma spesso è troppo fragile per sostenere tutto l'impianto narrativo e teatrale».
Giasone, nella resa di Cesario, è un misto tra un uomo tormentato e debole e uno calcolatore, che ragiona solo in base a convenienza, freddo e superficiale. Il trait d'union è costituito dal personaggio dell'ancella, che arricchisce il racconto con l'intensità dei canti popolari in siciliano. Lei e Medea sono le uniche macchie di colore in mezzo a personaggi che non hanno sfumature. Gli indumenti colorati alludono a tutta la tavolozza dei sentimenti umani, delle emozioni più variegate, da quelle più tenui a quelle più forti - mitezza, possessione d'amore, ira - ma rimandano anche alla loro provenienza, alle usanze tribali.
Loro sono delle esuli: potrebbero provenire, come tanti migranti, da terre lontane per poi approdare sulle coste siciliane, in cerca di riparo. Trattate con diffidenza perché considerate diverse per i loro usi e costumi, vengono percepite come un pericolo o come barbare, rappresentanti di una cultura "inferiore". Quindi vengono messe all'angolo come marginali che non riusciranno mai ad affrancarsi da questo status svantaggiato e umiliante.
Il prossimo appuntamento con Gianmarco Cesario sarà il 4 ottobre 2023 con La Lupa di Giovanni Verga a Paestum (Capaccio).
«Amo i grandi classici, antichi e contemporanei - evidenzia il regista - . Sono affascinato, in particolare, da questi complessi e contraddittori personaggi femminili. Nel teatro, da quello antico a quello ottocentesco, gli uomini sono degli strateghi e rappresentano i valori, positivi o negativi. Sono le donne a essere il nucleo delle passioni e dell'emotività».
di Tania Sabatino
Ricerche Correlate
Commenti
Posta un commento