Nadia Conticelli: dal Piemonte finanziamenti per giovani ricercatori. Pd parli chiaro. Attenzione a Trump

ROMA - Discorrendo dei temi più diversi con la dottoressa Nadia Conticelli (personalità di spicco del Partito democratico piemontese e del Consiglio regionale della Regione Piemonte), ci siamo ritrovati nel ricordo di queste parole di Rita Levi-Montalcini: «Ho perso un po' la vista, molto l'udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent'anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente». E abbiamo continuato così la nostra conversazione...

Secondo lei, l'illustrissima scienziata come avrebbe, oggi, raccontato questa Italia?
«Penso che sarebbe notevolmente preoccupata per i passi indietro che stiamo facendo in merito ai diritti dei cittadini, alle conquiste delle donne in ambito sociale, alla tutela delle famiglie.

Lei è stata un esempio meraviglioso di donna emancipata, libera, intelligente, innovativa. Il suo pensiero e il suo genio mal sopporterebbero certe iniziative che mirano a una involuzione della nostra società».

Differenze che esistono tra un amministratore che si occupa di questioni regionali e uno che vive direttamente i territori comunali...

«Io ho avuto la possibilità di una esperienza amministrativa come presidente di Circoscrizione prima della legislatura regionale, quindi, conosco entrambe le realtà. Le differenze sono strettamente correlate al ruolo: chi lavora in un'assemblea legislativa e di programmazione come il Consiglio regionale deve coordinare le istanze che provengono dai territori e tradurle in leggi e progettarne lo sviluppo. Un amministratore comunale affronta le istanze dei cittadini “sul campo”, rispondendo alle loro richieste e provvedendo al funzionamento della macchina comunale in maniera diretta. Ma sia chiaro che anche un consigliere regionale non può esimersi dal vivere a stretto contatto con i territori, confrontandosi frequentemente proprio con gli amministratori comunali e i cittadini stessi. Per me amministrare, a qualunque livello, ha significato sempre e comunque restare a stretto contatto con i problemi delle persone e con i cambiamenti della società».

Dottoressa Conticelli, una volta si diceva che il Piemonte fosse una regione molto fredda. Ora, però, soprattutto in questi ultimi mesi, sembra che sia diventata un'area fortemente calda... Quali le questioni da affrontare nella e per la sua terra?

«Se fa riferimento al cambiamento climatico certamente è un fenomeno che ha colpito anche il Piemonte e comincia ad essere percepito dai cittadini come un problema reale, che tocca tutti, nessuno escluso. Come Governo regionale abbiamo fatto ciò che era in nostro potere per contribuire ad arginare i danni dovuti all'inquinamento e a una errata gestione dei rifiuti. Mi riferisco in particolare ai fondi per la messa in sicurezza e la realizzazione di nuove piste ciclabili; al Nuovo Piano di Gestione Rifiuti che prevede una riduzione dei rifiuti urbani, l'aumento della differenziata e del riciclo dei rifiuti stessi, una nuova tariffazione più conveniente per chi produce meno rifiuti; il completamento della mappatura dei siti inquinati dall'amianto e la bonifica dell'ex stabilimento Eternit di Casale Monferrato; il Piano regionale di qualità dell'aria, ossia il documento programmatico che definisce i principi e gli obiettivi su cui dovranno convergere tutti i provvedimenti che avranno impatto diretto o indiretto sulle emissioni in atmosfera; gli incentivi all’efficientamento energetico e all’economia circolare.
Temi da potenziare, se vogliamo centrare gli obiettivi: una maggiore cultura del riuso e del riutilizzo dei beni e degli immobili dismessi, maggiore divulgazione delle tematiche legate all'ambiente, incentivare comportamenti responsabili e sostenibili da parte di tutti i cittadini piemontesi in materia di gestione dei rifiuti, impianti di riscaldamento, fonti rinnovabili.
Per quanto riguarda, invece, il clima sociale, il Piemonte è sicuramente una regione che è passata dal freddo al caldo nel giro di pochi mesi. Il territorio regionale tutto ha vissuto varie epoche in cui il suo clima sociale si è “riscaldato”: mi riferisco alle proteste operaie degli anni '70 e '80, agli scioperi in Fiat che hanno caratterizzato quell'epoca storica. Dopo il 2000 però e soprattutto nell'ultimo decennio, la nostra regione ha vissuto il tema Tav come elemento destabilizzante a livello di antagonismo e di alcune realtà locali che non condividevano il progetto. In questi ultimi mesi, soprattutto, il tema è tornato prepotentemente alla ribalta, con manifestazioni pacifiche e civili a favore del “Sì” a queste grandi opere e alcune manifestazioni meno pacifiche che hanno protestato contro il proseguimento dei lavori. Io penso che sia un nostro preciso dovere combattere la violenza, sia verbale sia fisica, e impegnarci perché questi grandi cantieri possano proseguire il loro lavoro dando un futuro certo all'economia della nostra regione, altrimenti tagliata fuori dai grandi assi di collegamento europei e internazionali».

Come rendere più a misura d'uomo le città piemontesi?

«Il Piemonte è ricco di città di media grandezza con ottimi servizi e un livello di vivibilità urbana elevato: i problemi li troviamo maggiormente, come è ovvio aspettarsi, nei grandi centri urbani dove le dinamiche di sviluppo urbanistico e i flussi migratori sono percepiti come più elevati, e le problematiche legate alla mancanza di servizi, alla sicurezza e alla cura del patrimonio e dell'arredo urbano aumentano. Per avere città a misura d'uomo bisogna riservare maggiore cura alle periferie, sia quelle urbane sia quelle geografiche, avendo il Piemonte oltre un migliaio di comuni, per lo più di dimensioni medio-piccole. I quartieri e le aree periferiche non vanno abbandonate, sia dal punto di vista sociale sia da quello dei servizi: i trasporti, in particolare, vanno potenziati, lo dico avendo una sensibilità profonda per le situazioni di disagio. Ricordiamoci della teoria delle “finestre rotte”: un ambiente degradato porta a scarso rispetto e quindi a ulteriore degrado; un ambiente curato porta a un maggiore rispetto dell'arredo urbano e quindi a una maggiore vivibilità».

Consigliera, quando si abbattono case, o costruzioni che comunque "contengono" esseri umani, qual è il passo successivo (o precedente) da compiere?

«Se si riferisce agli abbattimenti di vecchi edifici o ad aree ex industriali in cui si rifugiano disperati, senza tetto e altri soggetti in condizioni economiche di disagio, lo strumento è la bonifica e il riuso delle zone già compromesse e urbanizzate. Abbiamo cercato di incentivare il riuso e la riqualificazione urbanistica con una legge specifica, che guardi alla riduzione di consumo di suolo libero e a dare nuova vita a intere porzioni di territorio.
Poi, abbiamo lavorato molto sulle politiche abitative, sull’emergenza abitativa, rivedendo i criteri di assegnazione delle case popolari, prevedendo interventi di autorecupero da parte degli inquilini per alloggi che non potrebbero essere dati in affitto perché necessitano di manutenzione. Con una legge ad hoc, gli alloggi vengono proposti alle famiglie in graduatoria, che potranno entrarvi con l’impegno di effettuare gli interventi necessari spesa massima: 7mila euro). Le somme spese saranno rimborsate con detrazioni sugli affitti o con la restituzione dell’importo anticipato, fino a un massimo del 50 per cento. Abbiamo investito sulle manutenzioni e sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Ma politiche abitative non significa solo case popolari: abbiamo potenziato gli interventi a sostegno di affitti e mutui per soggetti che si trovino in difficoltà, e investito sulle misure a sostegno di soluzioni abitative in cooperativa o nel mercato privato, attraverso le Agenzie sociali per la locazione».

Vecchia Fiat italiana e Fiat "straniera": che aria si respira nella sua regione?

«Per Torino e il Piemonte è sicuramente finita un'epoca: positivi gli impegni sullo stabilimento di Mirafiori, che è tornato a produrre, ma il tessuto produttivo dell'area torinese è certamente cambiato e l'indotto dell’automotive resta importante per il manifatturiero, ma non l’unico. Oggi il Piemonte punta sull’eccellenza nel food, nell’agricoltura, nell’aerospaziale, nell’“high-tech”, nella cultura. I centri di ricerca, primo fra tutti il Politecnico e, a breve, il nuovo Parco della Salute, le start up, in particolare nel campo dell’innovazione sociale e ambientale, rappresentano già oggi realtà da sostenere e valorizzare».

Su cosa bisogna battagliare all'interno del Consiglio regionale del Piemonte (lei sta chiedendo nuovamente fiducia ai piemontesi) nei prossimi anni? Un progetto, per la regione tutta, da portare a casa...

«Un Patto per il Piemonte, da sottoscrivere con gli amministratori locali, le forze produttive e sociali, il mondo della scuola e le professioni. Bisogna puntare a fare ripartire il lavoro, e servono trasporti e formazione. Bisogna garantire l’accessibilità e la modernizzazione della rete dei trasporti, completando le infrastrutture ed efficientando la mobilità locale, mentre la formazione deve mirare a formare eccellenze senza lasciare indietro nessuno.
La ripresa economica nella nostra regione è ancora flebile e, soprattutto, non omogenea. Ci sono aree geografiche, come ad esempio il Cuneese, dove la crisi è ormai alle spalle grazie a un tessuto produttivo e a una rete imprenditoriale che in Italia non ha eguali. Ma esistono altre aree dove la crisi morde ancora, soprattutto nel Torinese, dove il passaggio da un'economia prevalentemente legata al settore metalmeccanico, a un sistema economico multiforme e senza un settore dominante, non ha ancora permesso alla fitta rete di piccole e medie imprese che caratterizzano l'economia torinese di riprendere a crescere come nel passato. Accanto a queste ci sono gli incubatori di start up, con finanziamenti ad hoc per giovani ricercatori e le nuove imprese più innovative: penso possa essere il motore di sviluppo più lungimirante per una regione come la nostra che deve rilanciare il suo tessuto produttivo, la sua economia».

Un tweet ciascuno per Chiamparino, Appendino, M5S e Lega...

«Forza Sergio, il Piemonte non può fermarsi! Chiara, hai perso il pullman per andare in periferia? I matrimoni forzati sono destinati al fallimento, M5S e Lega non prolungate questa agonia per il Paese…».

Una cosa, una sola, che deve fare il Partito democratico a livello nazionale...

«Sarò molto schietta: il nuovo segretario Zingaretti è la svolta che molti attendevano, ossia il ritorno del Partito democratico a una guida che davvero unisca e armonizzi le molteplici anime del nostro partito che rappresentano una ricchezza e soprattutto torni a parlare con la gente. Il Pd ha bisogno di tornare a essere un progetto politico che sappia dire parole chiare, trainato da un leader vero, perché di capipopolo oggi ne abbiamo anche troppi».

Da insegnante e politica, bisogna avere più timore per le sorti del mondo dalle azioni di Cina, Stati Uniti d'America o alleanza franco-tedesca?

«Sembra che l'alleanza franco-tedesca possa avere un certo peso solo a livello europeo, a livello mondiale non penso. Gli Usa sono sempre stati alleati dell'Italia e di molti Paesi europei, ciò che mi spaventa è la possibile rielezione di Trump il prossimo anno: penso che la sua presidenza sia stata una delle peggiori che il nostro potente alleato americano abbia avuto nella sua storia pluricentenaria, certo favorita dal divario economico e sociale sempre più marcato che oggi separa i Paesi e segna fratture profonde anche all’interno dello stesso Stato americano. La classe media americana rischia di sprofondare nella zona grigia ed è più sensibile agli appelli alla paura che al coraggio di costruire il futuro. La guerra commerciale attualmente in atto tra Stati Uniti e Cina, a colpi di nuovi dazi, deve preoccuparci notevolmente: il rischio che coinvolga l'Europa, e in modo particolare l'Italia, è elevatissimo. Il “mercato globale”, se guidato con politiche intelligenti, diventa un’opportunità per tutti: altrimenti domina la legge del più forte e, il nostro Paese, può anche mostrare i muscoli, ma è destinato a essere tagliato fuori. Per questo serve un'Europa forte che tuteli la manodopera e la produzione con regole chiare e omogenee per tutti i membri aderenti, scoraggiando la delocalizzazione, e che tuteli la qualità e la specificità delle nostre produzioni.
Ma questo si fa fornendo a imprese e artigiani gli strumenti adatti per essere competitivi e dotando la nostra Italia delle innovazioni e delle infrastrutture che ne evitino l’isolamento.
Il tempo e la Storia non si possono fermare: i muri apparentemente proteggono, in realtà escludono e isolano».

di Giuseppe Rapuano

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