Popolizio al Mercadante, umanità e sublimazione della deformità

NAPOLI - Teatro Mercadante. Massimo Popolizio dal 3 al 14 aprile 2024, a Napoli, ci dona l’opera di Maksim Gor’kij: “L’Albergo dei Poveri”. In scena con il possente Popolizio, un cast energico: Sandra Toffolatti, Raffaele Esposito, Michele Nani, Giovanni Battaglia, Aldo Ottobrino, Giampiero Cicciò, Francesco Giordano, Martin Chishimba, Silvia Pietta, Gabriele Brunelli, Diamara Ferrero, Marco Mavaracchio, Luca Carbone, Carolina Ellero, Zoe Zolferino. Ognuno meriterebbe una recensione personale, uno studio sui punti di vista, perché è proprio vero che “tutti hanno l’anima grigia e tutti ci mettono sopra un po' di colore”. Ogni personaggio è protagonista e antagonista, per questo si resta amici del cruento popolo terrestre che si muove davanti ai nostri occhi. Luka: “tu dici la verità. La verità non è mica sempre buona per la gente, non sempre ci si può curare l’anima con la verità”. Questo spettacolo è un saggio sull’umanità.

Vorrei vivere ancora un pochino, un pochino solo, se lassù non ci sono sofferenze...

Una sublimazione della deformità. La morte di Anna senza alcun dramma, buca lo stomaco, eppure lei stessa dice: “Vorrei vivere ancora un pochino, un pochino solo, se lassù non ci sono sofferenze, potrei anche sopportare un altro poco qui”. La realtà non è né patetica né pietistica. Ecco il taglio di regia che rende così impattante questa messa in scena. Dinamiche dure come quelle delle due sorelle, delle meravigliose interpreti di Walissa e Natascha e il triangolo amoroso con Pepel, ci restituiscono tematiche universali di un Gor’kij romantico e rivoluzionario, realista e socialista. È sicuramente il quadro di una Russia malata e agonizzante, capolavoro della letteratura rappresentato nella Mosca dei primi anni del Novecento, che ritrae i bassifondi di un' antropologia delineata dalla povertà, quella che non permette moralità ma che è pur consapevole che “ci sono menzogne così consolanti!”. Popolizio, con il suo assistente Tommaso Capodanno, ha lavorato con una squadra di 16 animali da palco, con l’onore aggiunto di interpretare un testo già diretto da Stanislavskij e da Strehler.

Forse ho amato in te la mia propria speranza, il mio sogno...

La produzione è del Piccolo Teatro di MilanoTeatro d’Europa, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, si avvale delle scene di Marco Rossi e Francesca Sgariboldi, dei costumi di Gianluca Sbicca, delle luci di Luigi Biondi, del disegno sonoro di Alessandro Saviozzi, dei movimenti scenici di Michele Abbondanza e della convincente riduzione drammaturgica di Emanuele Trevi. “Forse ho amato in te la mia propria speranza, il mio sogno”. Sentiamo freddo, sentiamo vergogna, sentiamo l'amarezza di chi ha dimenticato la propria dignità; viviamo sulla pelle i richiami cinematografici di Akira Kurosawa. In un secolo di storia, la società della sopraffazione resta uguale a se stessa indipendentemente da luogo di ambientazione. Sarà che a Napoli abbiamo un ex dormitorio, un Real Albergo dei Poveri, conosciuto come il “Serraglio” in cui storie del genere si saranno consumate abitualmente. Del resto l’autore sostò a lungo in Italia, sappiamo che soggiornò a Napoli (Capri e Sorrento soprattutto), e il nesso non deve essere sfuggito alla macchina organizzativa che ha già conquistato il Teatro Argentina di Roma.

Noi tutti mendicanti sprofondati in un angolo del mondo

Un ladro, una prostituta, un barone, un cialtrone, una sognatrice, non importa in che relazioni siano davvero, non vi è una vera e propria trama se non il labirinto della miseria storica di una Russia imperiale arretrata e impreparata alle evoluzioni sociali che avvenivano intorno. Ci vuole coraggio per dare forma a questi vagabondi e decantarne le imperfezioni, attraverso lo strumento della coralità. Il risultato sono personaggi tridimensionali. Ci si affeziona alla loro carne. Ci ritroviamo a ricercare il senso dell’esistenza. Da spettatori ci rispecchiamo, ci sentiamo tutti mendicanti sprofondati in un angolo del mondo, negli abissi della vita. Siamo nel sottobosco sciagurato della sofferenza che non può distruggere se stessa, siamo tutti rassegnati ma litigiosi, sedotti ma frantumati nel filo diabolico di una malvagità ingenua che solo l’arte può redimere.

di Anita Laudando

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