Coronavirus. Claudia Rossi Carrera: cerchiamo contatti verbali, per rompere il silenzio, per sentirci meno soli. Covid-19

MILANO - Parole rubate, incontri proibiti. Io ero in uno dei miei appartamenti che affitto a Milano, quando ho sentito un po' distratta la notizia alla tv sul Corona Virus. Corona Virus o Covid-19, morbo influenzale molto contagioso che si sta diffondendo in tutta la Cina e che potrebbe raggiungere in poco tempo il resto del mondo.

Lì per lì ho ascoltato e archiviato il pensiero, avevo troppe cose più ingenti a cui pensare, fino a che è diventato impossibile non ascoltare e seguire le notizie. Ogni canale  televisivo, ogni stazione radio, sui social, su tutti i giornali stampati si parla di Corona Virus, di morti, del numero dei contagiati in Lombardia, in Italia, in Germania, Spagna, in Europa, negli Stati Uniti d'America. Tutto il mondo ne è contagiato.

La comunicazione è il mezzo più indicato per fare comprendere alle persone cosa sta accadendo.

Deve essere delicata e chiara, e deve giungere a tutti. Ma proprio a tutti.

Cosa sta accadendo?

Non appena la gente comprende la gravità del problema, capisce che l'Italia è messa a dura prova, non la prima, né l'ultima della sua storia. E, bando alle innumerevoli polemiche, la pandemia spaventa un po' tutti.

Diventiamo all'improvviso uniti nei comportamenti, nella prudenza, ci trasformiamo in una comunità solidale che ancora una volta, con determinazione, lotta per vincere l'ennesima emergenza.

Un'emergenza nuova che in qualche modo, questa volta, unisce e divide insieme.

Condividiamo il dolore delle perdite, la paura della malattia, la preoccupazione sul piano economico.

Ci riavviciniamo alla famiglia, agli amici a distanza, nei flash mob lungo tutto il Paese. Stiamo riscoprendo il valore forte dell'unità nazionale. Lasciamo la bandiera dell'Italia sventolare sulla terrazza come punto di riferimento anche per il resto dell'Europa.

Le strade sono deserte, le luci dei negozi sono spente, le saracinesche sono chiuse, le auto sono poche, il silenzio si fa pesante. Tutto è fermo, immobile.

L'Italia è ferita, il Virus circonda i nostri limiti, ci rende vulnerabili, ci pervade l'esistenza.

Siamo costretti a rimanere tutti chiusi in casa, per limitare il contagio, per aiutare gli ospedali al non sovraffollamento di malati; mancano i letti nelle terapie intensive. Un caos del quale non si vede una fine, che si insinua nel cervello, come un tarlo, lì pronto a occupare i nostri pensieri.

Quando porto fuori il cane con il foglietto dell'autocertificazione compilata e firmata in tasca, una delle poche cose concesse, incontro altri come me con i loro cani. Dobbiamo stare a distanza e non possiamo comunicare, i nostri cani tirano perché vogliono annusarsi, ma noi tendiamo come a scappare. Abbiamo paura del contagio.

Però, d'altra parte, noto che tutti cercano in qualche modo di parlare, quando prima faticavano quasi a darti il saluto; ora, anche chi non si conosce, cerca un contatto almeno verbale, per rompere il silenzio, per sentirsi meno solo. Diventa quasi più piacevole uscire.

Se prima erano tutti chiusi in casa e sui social per vivere le loro relazioni virtuali, ora come per magia o perché ci è proibito, vogliono uscire, con la scusa del cane, o dell'attività fisica all'aperto. Vogliono uscire.

I negozi sono chiusi, i cartolai, i negozi d'abbigliamento, i bar, i ristoranti, le gelaterie. Non c'è vita, le palestre, i parrucchieri, le estetiste, la ferramenta, il giornalaio. Per le strade solo i megafoni che ci ricordano di tornare a casa.

E chiusi nelle nostre case ritroviamo il piacere o il dispiacere perché ne siamo costretti, di rimanere in famiglia. Le scuole sono chiuse, i genitori possono finalmente dedicare il proprio tempo ai loro figli, le coppie scoppiano, le verità vengono a galla.

Cerco di impiegare le mie giornate facendo tutte quelle cose che normalmente non farei, così non penso troppo al Virus e alla situazione così surreale che siamo costretti a vivere.

Faccio partire delle video chiamate agli amici lontani, ai nipoti, ai fratelli. Provo ad accorciare le distanze con questi mezzi tecnologici che oggi ci aiutano meglio a combattere la nostra battaglia.

Cerco di non rattristarmi a sentire amici che hanno appena perso i genitori senza neanche poterli salutare.

Migliaia di morti, soli, stretti nel loro dolore, senza avere vicino i propri affetti.

Gli unici contatti possibili sono quelli con i medici, che possono solamente tenere aggiornati telefonicamente.

I malati non vedono e sentono da giorni i loro cari, nessuna voce vicina, nessun abbraccio, nessuna parola. Vedono spegnersi il proprio vicino di letto. Lo vedono allontanarsi portato via su una barella.

Aumentano le loro ansie, i silenzi, la solitudine, i pensieri si fanno più cupi, la voglia di vivere inizia a essere mangiata dalla paura di non farcela.

Il respiro viene poi soffocato, la confusione, e poi il nulla.

Quando un tuo caro se ne va, dall'ospedale ti avvisano con uno squillo veloce di telefono.

Anche i dottori soffrono, non sono abituati certo a vedere una quantità di morti così enorme tutta insieme. Chissà quante urla di dolore al telefono sentono i medici, mentre i cadaveri vengono messi in un sacco nero e portati via. Con tutti gli altri.

Stiamo soffrendo in casa, in silenzio. Allora cerchiamo allegria tramite video messaggi ironici, affoghiamo la noia nel cibo; tutti insieme facciamo un po' gli stessi pensieri e le stesse cose. Siamo uniti anche da questo.

Aspettiamo desiderosi che il male passi in fretta e che presto si possa tornare a riabbracciare amici e parenti, fidanzati, di tornare al  lavoro che prima magari detestavamo. Torniamo ad apprezzare valori, abitudini e doveri.

Riprendiamo a comprendere l'importanza del tempo, che passa, ora in attesa di giungere di nuovo alla normalità.

Anche noi potremo dire di avere vissuto una esperienza che verrà scritta sui libri di storia, di giorni che non passano mai, tutti persi dietro a un unico pensiero di speranza: “Andrà tutto bene!”.

di Claudia Rossi Carrera

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