Monica Daccò: la crisi, che evoca giudizio, è il significante del tempo, lo abita

ROMA - Il tempo, il rosso e la filosofia. “Essere consapevoli di ogni battito – non tempo che passa, ma tempo da vivere.” (A. Marcolongo, Alla fonte delle parole). Stiamo sopravvivendo nello scorrere del tempo, spettatori immobili e passivi appiattiti sulla linearità consequenziale della cronologia che segue la direzione necessaria prima – poi, senza badare al qui e ora. Siamo fuori dal tempo, nell’affanno della rincorsa all’impossibile raggiungimento del traguardo: tempus fugit – si dice - perché ciò che inutilmente cerchiamo di afferrare, fugge nel passato, annulla il futuro e nasconde il presente. Non è quello che possiamo, ma quello che ci viene dato da vivere indipendentemente da noi. Allora, forse, dovremmo preoccuparci più del come invece che del quando e orientare le nostre scelte e il nostro fare al tempo esistenziale, quello che appartiene al nostro sentire, quel battito che dà il ritmo alla nostra vita e dona colore ai nostri giorni.

È potenza di agire che spinge al cambiamento e che sa cogliere il tempo cairologico, il momento propizio favorevole al bene per intraprendere un’azione felice. È un tempo immerso nello spazio vivificante del rosso, il colore caldo delle emozioni, del sentimento, della passione e anche delle tentazioni erotiche e amorose declinate in infinite sfumature – come ci ricorda il celebre romanzo di E.L. James – è il tono che usiamo per disegnare il fuoco, per colorare il cuore, per la nostra rabbia e per rappresentare i nostri tabù. Il rosso è vita, nel sangue che ci scorre dentro e ci mette in allarme, richiama la nostra attenzione sulle vicende del mondo. Ma il nostro rosso, oggi, è il non-colore sbiadito che ha il gusto della resa: omologato ai due estremi – il bianco dell’assenza giocata, non in tentazioni, ma in tentativi fallimentari e il nero pieno d’angoscia e circoli viziosi che asfissiano il pensiero.

Le estenuanti declinazioni di questo rosso cupo, raccontano di un tempo mancato e mancante in cui non troviamo perché non sappiamo più cercare, siamo rimasti immobili, ma convinti di correre, sempre nella medesima posizione, bloccati da umane paure e sovrumane illusioni, pseudo verità che nutrono vane speranze; nel mezzo il non fare, la stasi. La filosofia – certo - non può cancellare il male, però può aiutare a comprenderlo, a smascherarlo; ci può aiutare a pensare in modo differente, a guardare il mondo in altre prospettive, a scorgere altre vie: direzioni di buon senso piuttosto che percorsi ordinati, ostinatamente a senso unico.

Quello che sta avvenendo è un tempo straordinario, che richiede azioni straordinarie: Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza. Così parlava Ulisse nella celeberrima terzina dantesca. Non è soltanto il tempo della pandemia, ricorre anche un anniversario straordinario – il settecentesimo della morte del Sommo Poeta, che ci ha consegnato parole che continuano a vivere, che ci spronano alla continua e faticosa ricerca, al cambiamento; ci espongono al rischio rammentandoci che sulla via i sentieri hanno due versanti, che gli strumenti sono ambivalenti, che la cura è sempre rimedio, ma anche veleno, perché così è l’essenza del pharmakon.

Perché così si muove l’esistenza tra i due poli dialettici nell’espressione del tempo dentro e fuori di noi. La crisi – che evoca giudizio e capacità critica – è il significante del tempo, lo abita, non lo rincorre a ritroso o nel dopo, è il nostro presente campanello d’allarme che richiama tutti alla consapevolezza e alla responsabilità della scelta. Scegliamo per non sopravvivere semplicemente alla contingenza del tempo, ma per dare significato al tempo – vivendo.

di Monica Daccò

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