Balthus. Dov'è il segreto di un’azione che induce a dipingere ragazzine destinate alla clausura dell’autoerotismo?

ROMA - Villa Medici, Accademia di Francia, sabato 24 ottobre 2015, ore 18,28, per un pelo riesco a vedere la mostra di Balthus, inaugurata oggi, la biglietteria chiude alle 18,30.  Qui, dove l’artista ha vissuto e lavorato per 16 anni (è stato direttore dell’Accademia di Francia tra il 1961 e il 1977), dovrebbe essere palpabile la sua presenza, il suo modo di lavorare: di fatto, non percepisco un bel niente. E i conti con le sue fanciulle in fiore innamorate di se stesse non so come farlo, né con le rare presenze di adulti - per lo più donne indifferenti o brutalmente violente, come nella celebre “Lezione di chitarra” del 1934, non presente in mostra. Un filmato esplicativo da cui solerti assistenti di sala vorrebbero strapparmi, data l’ora tarda, è troppo aristocratico per i miei gusti: concetti ineffabili, raffinatezze e non ricordo neppure una parola.

Che si fa, mi dico una volta fuori, affacciata alla scalinata di Piazza di Spagna, e dire che la mostra doveva essere un “dietro le quinte” rispetto all’altra alle Scuderie del Quirinale (inaugurata sempre oggi), un’occasione per tentare di afferrare il segreto di un’azione così ripetitiva che induce un uomo a dipingere ragazzine incapaci di sentimenti e destinate alla clausura dell’autoerotismo. Di pedofilia neanche a parlarne: è chiaro che in queste figure si cela l’artista – ma, l’anno scorso, in Germania, una mostra sulle foto di cui  Balthus si serviva per i suoi studi è stata censurata. Tiro dritto per le Scuderie del Quirinale accessibili fino a tardi. Lo spettacolo è  migliore, ci sono parecchie opere tra disegni e dipinti, fra cui una  versione de “La Chambre” (Washington, Hirshhorn Museum, 1947-‘48) dove la ragazzina fissa lo spettatore, ma solo per usarlo come specchio. Ho notato anche le tracce degli studi sapienti fatti da Balthus su Piero della Francesca e di come le Madonne di Piero - un  faro per i naviganti - si mutino in creature isolate, un faro per se stesse. Pensavo al “Narciso” di Caravaggio, ma poi ho scartato il paragone: fedele al mito, Caravaggio ha ritratto un fanciullino innamorato di un altro (così crede, non sapendo che è suo il viso riflesso nell’acqua). Le ragazzine di Balthus, al contrario,  nello specchio di cui sono munite o negli occhi degli spettatori desiderano se stesse: lo fanno senza mezzi termini e senza che la cosa porti alla sofferenza intollerabile come accadde al povero Narciso, morto suicida perché è dura scoprire di cantarsela e ballarsela da soli.

Ci ho pensato tutta la sera: Balthasar  Klossowski  de Rola (Parigi, 29 febbraio 1908 - Rossinière, 18 febbraio 2001), francese, proveniente da una nobile famiglia polacca, noto come Balthus, aveva vissuto l’infanzia durante la prima Guerra Mondiale; nel 1932 aveva fatto il militare in Marocco; nel 1940, arruolato nell’esercito francese, era stato ferito gravemente sul fronte alsaziano. Tragedie, orrori delle due guerre,  persecuzioni, campi di sterminio, persino la bomba di Hiroshima, che avrebbe potuto vedere negli occhi della seconda moglie giapponese: nulla di tutto questo traspare dalla sua pittura, blindata contro la Storia e contro gli uomini, contro il tempo e lo spazio. In quelle tele dove stendeva e grattava via strati di colore finché le fanciulle, come insetti nell’ambra, non ne restassero prigioniere, l’unico dramma è strettamente privato: quello di un’infanzia strumentalizzata,  abusata da una figura femminile senza che il bambino/la bambina, chiuso/a nel suo bozzolo  comprenda e patisca.

Post Scriptum: nella mostra alle Scuderie si può ammirare  un piccolo studio della madre di Balthus, il ritratto dei suoi due figli, Pierre e Balthasar (ma sembrano due fanciulle) con la camicia bianca, con i capelli lunghi, dorati, col passo lieve e aggraziato dell’infanzia che va verso l’adolescenza.  Un quadretto davvero molto carino, forse andrebbe collocato nella prima sala, a inizio mostra, o alla fine, chissà.

di Pia Di Marco

BALTHUS Scuderie del Quirinale, la retrospettiva. Villa Medici l’atelier, 24 ottobre 2015 - 31 gennaio 2016
*la foto è una rielaborazione de “La patience” (1943, The Art Institute of Chicago), scelta per la locandina della mostra.

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